Lukla – Kathmandu (1.334 m.)

11 Novembre 2014 – Martedì

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Oggi veramente si parte! È una tappa di trasferimento Lukla – Kathmandu (1.334 m.) Mi sveglio alle 4 e un quarto per preparare tutto al meglio. Non devo dimenticare proprio nulla.

La partenza

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Dopo la giornata di ieri, mi sento ancora un pò giù. Ma l’idea di potermi fare, finalmente, un bagno senza la paura di finire congelato e quella di mangiare, finalmente “continentale”, mi rincuorano. Dopo una veloce colazione, mi ritrovo con BeBe fuori dal lodge. Mi accompagna fino all’entrata dell’aeroporto. Cosa dire! Ci salutiamo con un abbraccio e ognuno prende la propria strada. Mi ritrovo, dopo il check-in, in attesa del volo di rientro. Orario 6:20, sono le 8 e 15 e sono ancora qui ad aspettare. Ho visto i piccoli aerei di tutte le compagnie che operano nello scalo, tranne il nostro.

Si parte!

Chiaramente nessuna informazione viene data. C’è solo d’aspettare. Alle 08:30 eccolo! Rombando, rulla sulla pista, una veloce manovra e si ferma. Scendono i nuovi trekkers. Sono tutti puliti, allegri e pieni di aspettative. Le macchine fotografiche cominciano a scattare. Che strano io mi sento un veterano. È il nostro turno. Salgo sul piccolo bimotore. È un decollo che non permette errori. Dopo 400 metri c’è il precipizio quindi tutto deve funzionare. L’aereo prende posizione. I motori sono al massimo. Il frastuono è totale. Tutto vibra. Si parte! Aiutato dalla pendenza della pista l’aereo prende subito velocità. Si alza velocemente verso il blue del cielo. Dall’alto tutto sembra immenso e noi, piccoli e presuntuosi temerari, a sfidare le forze dalla natura che ci vorrebbero prigionieri della forza di gravità. I primi venti minuti sono carichi di turbolenze.

L’incontro con Krisna

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Il comandante si gira verso di noi. Sorride! Vedo in lontananze le cime. “Chissà dov’ero!”, mi chiedo. “Certamente in un punto in mezzo a quell’infinito” mi rispondo. Ormai Kathmandu è sotto di noi. Dopo tanti giorni rivedo una strada e del traffico. I motori sono al minimo. Un leggero scossone e ci ritroviamo dove la gravità ci impone di essere. Questa volta incontro il personale di Amici & Trek appena fuori dall’aeroporto. Anzi, per essere sincero, questa volta sento chiamare il mio nome: Giorgio! “Si”, faccio io, girandomi. È Krisna, l’accompagnatore che sarà con me gli ultimi due giorni prima della partenza verso l’Italia. Raggiungo l’albergo e quando sto per salutare Krisna lui mi dice: “allora questa sera ci vediamo alle 18:30”. “Per che cosa?” gli chiedo. “Sai il programma prevedeva una cena tipica a Lukla. Sappiamo che sei stato poco bene e abbiamo pensato di farla qui”.

Finalmente un bagno decente

Nooooooo, penso dentro di me. Ancora zuppa di lenticchie, riso e momo ne sono sicuro. Non riesco a dire di no. Siamo in mezzo ad un traffico terribile abbiamo percorso sette chilometri in un ora. Krisna è allegro e mi parla in continuazione. Capisco poco e anche non voglio capire molto. Penso solo ad un bagno ed a starmene in pace per riprendere le forze mangiando all’europea. Vista la cortesia di sono fatto oggetto: “va bene”, rispondo mio malgrado. “Porto mio figlio”, dice lui . Mi stringe la mano e sparisce velocemente. Io giro i rubinetti del bagno. Sento l’acqua calda scendere e riempire la vasca. Un’ora d’orologio, tanto rimango a mollo. Mi rivesto e mando in lavanderia della biancheria che calcolo mi possa servire in questi due ultimi giorni. Alla sera. puntuale arriva Krisna e suo figlio.

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Una cena tipica

È sempre sorridente. In taxi arriviamo al locale tipico. È una bellissima ristrutturazione di un palazzo antico abitato da nobili della zona. È pieno di turisti. Ci togliamo le scarpe per entrare. I tavolini sono bassissimi. Non è proprio il massimo per la mia schiena. Iniziano le danze. Si, proprio le danze! Tra una portata e l’altra dei danzatori in costume tipico hanno dato mostra di abilità ballando dei vecchi motivi nepalesi. Krisna è un tipo molto aperto. Parla animatamente dei problemi delle genti nepalesi. “Non pagheremo tasse” mi dice “ma qui ogni cosa devi pagartela se la vuoi. Istruzione, cure mediche , pensione è tutto a tuo carico. È molto dura con gli stipendi da fame che abbiamo. E per fortuna io lavoro per 80 euro al mese sono un fortunato. La cena non riesco proprio a terminarla. Ho il rifiuto! Mi scuso con Krisna ed offro il caffè e un liquore a fine pasto.

Il rientro

Rientriamo in albergo ormai è notte fonda. Ci sono poche persone per la strada ed il traffico è calato parecchio. Entro in camera, sistemo due cose prima di coricarmi. Ho tra le mani il mio “amico” di viaggio: il Garmin. Alla fine quanti chilometri ho fatto in 14 giorni? Lo accendo per curiosità. Leggo sul display sono 170 chilometri e 530 metri. Mi distendo sul letto e mi addormento in un batter d’occhio. È mattino presto, apro la porta. Marina è lì, mi aspetta. L’abbraccio e le sossurro: Namaste! Poi, lentamente, mi siedo e comincio a leggerle questo mi diario………

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Phakding – Lukla (2.840 m.)

10 Novembre 2014 – Lunedì

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Oggi è proprio l’ultima tappa da Phakding a Lukla (2.840 m.).

Finalmente gli ultimi chilometri

Finalmente gli ultimi 8 chilometri! Mi alzo e già non mi sento al top. Nausea e solo nausea. Ho il sapore del mango e degli spaghetti ancora in bocca. Che schifo. Se vomitassi forse starei, meglio, mi dico inforcando lo zaino. Dai Giorgio, mi ripeto, siamo alla fine la giornata è bellissima come tutte le altre d’altronde. Non ho visto una goccia d’acqua o un fiocco di neve per tutto il trekking.

Ci mettiamo in movimento. Soliti saliscendi rompi gambe e ritmo. Fiatone e nausea. Non ci siamo assolutamente, non ci siamo ma ….. cosa posso farci? Si deve andare avanti senza piangersi tanto intorno. Sto diventando polemico anche nei miei monologhi solitari. Ma è mai possibile che ogni paesino deve essere in cima a qualcosa? Non ho mai maledetto tanto gli innumerevoli scalini e scale di pietra che portano ai villaggi come oggi.

Dietro la curva c’è Lukla

In effetti, questi scalini, sembrano più fatti per il passo degli animali che che per quello degli uomini, o meglio, per il mio passo. Non riesco mai a coordinare un passo con uno scalino! Non parliamo della discesa dove tutto sembra più facile se non fosse per il dolore alle ginocchia che è stato più o meno sempre presente. Guardo BeBe. Lui capisce e mi dice: “Vedi quella sommità?” Si, “gli dico”. “Bene dietro c’è Lukla!” Ma, penso tra me, sarà la solita frase “tranello”, buttata lì per farmi trovare ancora le ultime forze. Non era vero!

Finale con scoppio

Sento un rumore alzo lo sguardo e …… “la civiltà”! Un piccolo aereo , ma sufficientemente grande per riempirmi il cuore, sta atterrando dietro la collina. Sono ormai a Lukla. Ancora una piccola salita e poi ho finito. Ancora nausea. Mi fermo sul ciglio della mulattiera e, forse per la felicità o per la visione della “fine” vomito tutta la cena della sera prima. Una liberazione, un finale con lo scoppio! Un povero portatore si ferma per darmi il suo aiuto, mi indica con la mano la testa, quasi a dirmi che il vomito è causa del mal di montagna. “No”, gli dico “il mal di montagna lo già provato, questa è stanchezza solo tanta ma tanta stanchezza”. Capisco che non mi capisce ma non ha importanza. BeBe mi viene vicino e mi chiede: “come va!” “Bene”, gli dico, “ho visto un aereo!” Dio sia ringraziato.

È il momento della mancia

È finita! Passiamo il paese tra frotte di turisti. BeBe mi anticipa al lodges e mi prenota una camera matrimoniale con doccia. Deve aver preso paura e vuole garantirmi la migliore sistemazione. Davanti al lodges c’è un bel prato con tanto di ombrellone, tavolino e seggiolini. Mi siedo e invito anche Samir, il mio silenzioso portatore. È il momento della mancia. Sono imbarazzato perché non riesco a quantifica la cifra giusta. Non voglio dare poco ma nemmeno esagerare. Chi dice qual’è il giusto? Giorni addietro avevo coinvolto anche BeBe in questo discorso. Ha fatto il politico, figura presente anche a queste latitudine. È difficile da dirsi mi risponde. Ognuno è libero in questo gesto. “È difficile!” Mi risponde, “certo che il turista americano pensa in dollari e quello italiano in euro”. “E quindi” dico io? “Cosa significa?” Ho capito, faccio da me. Alla fine sia la guida che Samir sono pagati e, quindi, la mancia è comunque un di più.

Quattro conti

Domani ripartiranno con un altro gruppo e, quindi alla fine anche a loro non va proprio tanto male. L’attività di portatore per i trekkers, paragonata a quella degli altri portatori non è tra le peggiori. Portare i bagagli dei trekkers lo nette a contatto con gente straniera che, si sa, lasciano laute mance. Quindi faccio un due conti: 15 giorni a, mettiamo, 5 euro al giorno sono 80 euro. Diciamo che per me può stare contento. Sono seduto al tavolo e lo chiamo: “Samir! Dai vieni qui! Potrò offrirti un tea dopo 16 giorni si o no? Siamo stati insieme ma con compiti diversi ma non per questo non riconosco il tuo buon lavoro”. Lui non capisce una parola ma… capisce benissimo. Lo si vede dai suoi occhi e dal quel mal celato imbarazzo nei movimenti.

Il momento dei saluti

È un ragazzo e tutto è comprensibile e logico. Ha gli amici dietro l’angolo che lo aspettano. Lui dovrà raccontare della sua esperienza, e offrire un “bicchiere”a tutti, a coronamento di quanto fatto. Infatti arriva sua fratello, ci presentiamo. Capisco che dopo 16 giorni vuole solo ….. scappare e ritrovarsi nel suo mondo e tra le sue realtà. Gli allungo il denaro. Non lo guarda ma lo infila subito nella tasca. Mi fa un sorriso mostrandomi i suoi bellissimi denti bianchi. Beve il tea velocemente, mi saluta e mi ringrazia. Sparisce velocemente dietro l’angolo. Sono contento. Arriva BeBe, beviamo un tea e mi da le chiavi della camera. Gli dico della mancia che ho appena dato a Samir. Mi sembra doveroso e corretto avvertirlo. Ci salutiamo dandoci appuntamento per la cena. Lui andrà a bersi qualcosa con gli amici ed io a farmi una doccia calda.

Tremo come una foglia

Arrivo in camera. Mi spoglio velocemente. Finalmente una doccia come io la conosco. Apro l’acqua calda. Bellissimo, m’insapono. L’acqua e calda e il vapore riempie il bagno. Stupendo, fino a sentire la temperatura scemare e diventare fredda. Mamma mia, ma quando riuscirò a farmi una doccia completa! Termino con l’acqua fredda per togliermi il sapone. Sto tremando come una foglia. Mi metto mutande e canottiera e mi distendo sul letto. Continua a tremare e non riesco a fermarmi. Stanchezza, debolezza, il vomito ci manca che mi prenda anche un’influenza.

Mi copro con la giacca a vento. Nulla! Continuo a tremare. Avanti! Ci prendiamo una tachipirina, tanto per mettere le mani avanti, e mi metto sopra anche il sacco a pelo. Tremo, tremo e ancora tremo e alla fine mi addormento. Mi sveglio intorno alle 17:30 sono caldo ho paura di avere la febbre. Ma non mi passa assolutamente per la testa di misurarmela. Alle 18 mi devo vedere con BeBe per la cena. Scendo in sala lo incontro ma decido di non mangiare. Lui insiste ma io mi accontento di un tea.

Domani si riparte per Kathmandu

Domani salirò sul primo volo per Kathmandu e quindi concordiamo la sveglia. Il volo è programmato per le 06:20 quindi decidiamo di trovarci nella hall per le 05:30. Colazione e partenza , 50 metri, per il piccolo aeroporto. Gli chiedo un aiuto per il borsone. Non arriverei a portarla insieme allo zaino. “Non ci sono problemi” mi risponde. Gli allungo la mancia. “Non posso accettare una cifra del genere.” Mi dice. Capisco: è la solita e scontata manfrina. “Prendi i vestiti per tuoi figli gli rispondo”. Mi dice: “grazie!” Lo vedo e lo sento contento. Non c’è dubbio ha fatto un buon lavoro. Ho fatto veramente una bella esperienza e ne sono contento. Sono convinto che, lasciando passare un pò di tempo, mi dimenticherò dei problemi e delle fatiche e porterò con me solo i momenti più belli.

Dingboche – Lobuche

Namche Bazar – Phakding (2.610 m.)

09 Novembre 2014 – Domenica

Pangboche – Namche Bazar

Oggi è la penultima tappa da Namche Bazar a Phakding (2.610 m.). Si sente odore di casa.

La ripida discesa

Sono le 10:30 si parte! Da Namche Bazar raggiungeremo Phakding (2.610 m.). Ho acquistato qualche piccolo ricordo. Si è vero, si parte, ormai siamo alle ultime battute. Rifacciamo la ripida discesa che ci porterà prima a Jorsale, e successivamente, a Phakding. Oggi incontro una quantità impressionante di portatori con carichi mostruosi. Ho chiesto ad uno di loro che si stava riposando, quanto trasportava. “100 chili”, mi risponde! Il bello è che queste persone piccole e magrissime si caricano il peso che in ultima istanza, poggia sulla testa.

I portatori compagni del trekking

Namche Bazar – Phakding

Dalla gerla parte una corda che collega i suoi due lati ed è abbastanza lasca da poter essere posta sulla fronte e aiutare, quindi, anche con muscolatura del collo, il sollevamento del carico. I portatori si portano appresso anche uno strano bastone. All’inizio non capivo bene. Il bastone è troppo corto per essere d’aiuto nel procedere, anche se tutto quel peso porta la schiena verso il terreno. Dopo poco ho capito! È una sorta di sedia trasportabile. Il portatore quando ha bisogno di riposare prende questa sorta di sedia sulla quale appoggiare parte del suo deretano e della gerla. Ingegnoso!

Scarpe da ginnastica?

Pangboche – Namche Bazar

Chiedo a BeBe ma come funziona con i portatori in quanto vedo qualcuno con una specie di divisa. Lui mi spiega che, normalmente, i portatori sono “gestiti” da più agenzie e prestano i loro servizi a chiunque chieda loro di trasportare qualcosa. Ho visto di tutto: porte, sedie addirittura parte di tetti in lamiera. L’incredibile è vedere le calzature dei portatori e paragonarle ai nostri scarponi. Non c’è storia! Scarpe da ginnastica? È tanto chiamarle così. Normalmente sono tutte deformate e alcune rotte. Ho incontrato alcuni portatori che salivano con ai piedi gli infradito a 5.000 metri!

Una processione di animali

Pangboche – Namche Bazar

Oltre ai portatori trovi gli asini, i muli e gli yaks. BeBe mi spiega che è sbagliato chiamarli così in effetti quelli che incontriamo non sono gli “originali” ma frutto di continui incroci. Insomma tra portatori umani e animali è un’economia in continuo movimento. Tra Namche e Jorsale incontriamo nuovamente il posto di blocco militare dove confermiamo il nostro passaggio. Ci depennano dalla lista dei trekkers da monitorare. Ufficialmente per le autorità siamo “fuori pericolo”. Con una piccola cifra, da devolvere al mantenimento del parco del Sagarmatha, mi viene rilasciato un certificato sul quale il funzionario, “spunta” l’obiettivo raggiunto: Everest Base Camp (5.364 m).

Sono stanco e gambe legnose

Pangboche – Namche Bazar

Ricevo anche la Registration Card con tanto di fotografia. Che bel ricordo! Appena arrivo a Udine incornicio il tutto. Alla fine arriviamo a Jorsale. Mangiamo e riprendiamo il cammino verso Phakding. La discesa è terminata, ora un continuo salire e scendere. Veramente non ho più forze! BeBe si deve fermare ripetutamente ad aspettarmi. Sono solo 11 i chilometri tra Namche e Phakding. Una vita! Non riesco a tenere un passo regolare. Le gambe improvvisamente si sono fatte legnose e pesanti, come se il corpo sapendo, di essere alla fine del viaggio, abbia deciso di fermarsi improvvisamente.

BASTAAAAAA!

Ogni discesa è fatta per raggiungere un ponticello e la conseguente salita per raggiungere un piccolo villaggio. BASTAAAAAA! Dico a voce alta. Sono arrabbiato con il mondo intero. Maledetta idea del trekking e poi, ad una certa età, queste cose non si fanno! BeBe mi guarda sorride. Capisco che non ha senso protestare. Saranno solo le mie gambe a riportami indietro. Mi fermo per un tea. Uno, due, tre cucchiaini di miele nella speranza di trovare le ultime munizioni. Arrivo finalmente a Phakding. Sono veramente stravolto!

Domani tutto finirà

Letteralmente mi lascio cadere sulla panca. Mangio in fretta forse troppo in fretta dopo uno sforzo così intenso e prolungato. Bevo del mango caldo per “ricaricarmi” e mi butto sulla branda.Mi addormento pensando che domani sarò a Lukla e considerando la differenza di quando sono passato 13 giorni fa dallo stesso posto. Fresco e pieno di grinta, ora mogio e stanco, con la sola idea di terminare.

Pangboche – Namche Bazar (3.440m.)

08 Novembre 2014 – Sabato

Pangboche – Namche Bazar

Oggi la tappa prevedete la partenza da Pangboche e arrivo a Namche Bazar (3.440m.)

La cerimonia al tempio

Pangboche – Namche Bazar

Oggi è la giornata che sarà dedicata alla cerimonia buddista che si tiene nel Monastero di Tengboche. Come ho già scritto, non capisco nulla del Buddha e me ne dolgo. Non è il massimo compiere un simile viaggio senza una minima infarinatura. Pazienza! Cercherò non tanto di capire la cerimonia ma di viverne l’atmosfera e lo spirito. La prima sensazione, ma che ho consolidato nell’oretta che mi sono fermato al monastero, è che la cerimonia non mi sembra solo una manifestazione della religiosità delle genti della vallata ma anche una rappresentazione teatrale alla quale tutta la gente viene coinvolta.

La danza ritmata

Pangboche – Namche Bazar

Ci sono certamente i monaci, con le loro litanie ritmate dal suono del gong o dai piatti, dal tamburo e da una sorta di lunghissime trombe. Litanie monotone e dal ritmo quasi ossessivo. Terminate, si da corso ad una rappresentazione quasi teatrale. Dalla porta del monastero scendono i monaci con dei costumi dai colori fantastici. Iniziano una danza ritmata fatta di movimenti che richiamano quelli delle arti marziali. I movimenti sono lenti e a scatti. I monaci girano intorno ad una specie di altare per dopo ritornare sui loro passi dopo aver “incensato” l’altare ed aver sparso acqua sulla gente come in una sorta di nostra benedizione.

Anche tea e latte

Pangboche – Namche Bazar

Più la cerimonia prosegue e maggiormente riconosco in essa dei tratti che potrebbero ricondurla ad una nostra messa. L’incenso, la benedizione, per arrivare ad una specie di offertorio, quando un monaco appresta un tavolino pieno zeppo di frutti che poi viene offerto ad un monaco. La gente guarda rilassata e sorridente. Tra una danza e una litania viene offerto ai presenti del tea con latte. Ho l’impressione di un momento religioso vissuto in maniera molto diversa in confronto alle nostre messe.

Festa e comandamento

Pangboche – Namche Bazar

Qui la gente sorride, chiacchiera è molto rilassata, come dicevo, sembra di assistere ad una cerimonia teatrale. La nostra messa mi rimanda a qualcosa di più rigido, strutturato e formale. Qui c’è festa, da noi comandamento. I turisti si accalcano ai bordi della piccola piazzetta interna al monastero con macchine fotografiche e cineprese per immortalare i meravigliosi colori dei costumi ma anche dei copricapo delle donne . Mi viene in mente come, molte volte, ci siano delle compensazioni impressionanti e forse, logiche nelle cose. A vedere i paesaggi, oltre certe altezze, così brulli e monotoni nel colore ti portano ad una sorte di tristezza e mestizia, in compenso vedi i colori dei copricapi delle donne, i colori che adornano i templi, quasi pacchiani e violenti nella loro esuberanza e leggi, in questo, una sorta di ribellione e rivincita di una gente semplice e genuina.

Si ricomincia a camminare

Pangboche – Namche Bazar

Dopo questa esperienza mi viene in mente la possibilità di chiedere a BeBe qualcosa in merito alla religione e sul Buddha, sperando di colmare, almeno in parte, la mia curiosità. Nulla da fare, la risposta della guida è abbastanza emblematica. “Queste cose”, mi dice, “fanno parte della cultura e non sono per me. Chiedimi di sentieri, distanze e montagne ma non queste cose, che non le conosco. Se vuoi sapere qualcosa potresti rivolgerti a Mr Govinda, lui si conosce”. Rimango male da questa risposta. Certo anch’io avrei potuto interessarmi prima della partenza ma questo è un limite proprio, anche della guida a livello professionale. Con questi pensieri proseguiamo il nostro cammino. Comincio veramente ad essere stanco fisicamente.

Sto camminando più piano

Pangboche – Namche Bazar

Non solo della giornata in se stessa ma della somma di tutte le giornate. Ogni salita mi pesa sempre di più. Ogni curva, che continua con una curva, diventa motivo di lamento. Si avvicina Namche, come si avvicina l’imbrunire. Mi accorgo di aver diminuito l’andatura. Per la prima volto mi dico: ancora due giorni. Devo essere onesto, anche a livello psicologico comincio a cedere. È la ripetitività delle cose che pesa. Lo zaino ogni giorno come il borsone, la colazione e il cibo.

Mi mancano ancora due giorni

Pangboche – Namche Bazar

Si proprio il cibo sta diventando una questione pesante. È la sua monotonia che sta diventando terribile. Non sono arrivato alla nausea ma quasi. L’odore, se all’inizio era riconosciuto come piacevole dal mio olfatto, ora sta diventando quasi stomachevole. È indice che sto arrivando al limite. Per fortuna ho ancora due giorni. Con sempre maggiore frequenza penso al bagno dell’albergo Malla a Kathmandu. Sono alla frutta! La strada si snoda lungo un falsopiano interminabile. Ogni curva uno stupa con le sue preghiere. C’è molta gente lungo la strada e anche molte mandrie anche se l’ora è un pò tarda. BeBe mi dice che oggi, sabato, è festivo per i nepalesi e che, a Namche Bazar, ogni sabato si tiene il mercato.

Gorak Shep – Pangboche (3.930 m.)

07 Novembre 2014 – Venerdì

Gorak Shep
Goral Shep – Pangboche

Oggi il trekking ci porta da Gorak Shep a Pangboche (3.930 m.) un interminabile discesa che ci porta dai 5.300 metri ai 4.000 metri .

Un paeseaggio brullo ci accompagna per tutta la tappa

Goral Shep – Pangboche

Lunghissima ed estenuante tappa di 27 chilometri tutti in discesa da Gorak Shep a Pangboche (3.930 m.). In pratica, un tuffo verso altezze meno impegnative. Rifacciamo lo stesso percorso fino a Dungla. Superiamo nuovamente il ponte ma, a questo punto, prendiamo il sentiero tenendo la destra. Ci dirigiamo verso Pheriche. Non ho mai visto un paesaggio come questo che ci accompagna per circa 3 ore. Scendiamo velocemente di quota il vento è forte e teso. Indosso il mio guscio per difendermi. Il paesaggio è brullo, secco, con pochissima vegetazione.

Il vento solleva la polvere

Goral Shep – Pangboche

La vallata creata dal fiume Lobuche Khola è enorme. Pheriche la si distingue, lontanissima, per il riflesso della luce del sole sui tetti in lamiera del paese. Ci sono degli Yaks sparsi in mezzo a tanta desolazione. Mi chiedo cosa possano mangiare. Un c’è un albero a cercarlo con il lumino. Le poche proprietà sono delimitate da muretti in pietra. Il vento solleva la polvere in una sorta di continuo mulinello. Prendo lo scalda collo e lo sollevo per coprirmi il naso e la bocca, proteggendomi il più possibile dalla polvere che penetra in ogni dove. Qui la vita deve essere veramente dura. La terra inospitale e la miseria si fanno sentire. BeBe e Samir sono avanti a me. Seguo un mio percorso, anche perché, in mezzo a questa landa non ti puoi sbagliare nel raggiungere l’unico gruppetto di case che vedi avanti a te. Continuo a pensare tra me e me. Ma a cosa può aspirare un ragazzino che vive in questo nulla?

Tante domande

Raggiungo BeBe voglio parlargli dei miei pensieri, vorrei cercare di capire. “Sai” mi dice “non ti accompagnerò fino a Kathmandu. Mi ha telefonato Mr Govinda devo aspettare a Lukla un gruppo di turisti e rifare, con Samir, il giro che abbiamo fatto insieme”. “Ma”, controbatto, “non hai famiglia? Siamo via da 15 giorni più o meno e ne starai lontano per altri 15 come minimo. Hai tre figli una moglie”. Mi risponde: “ma come posso? Ho tre figli da vestire ed educare sperando che stiano sempre bene e un affitto da pagare. Vengo in Italia, dove faccio la stagione. Ritorno qui e faccio la stagione nel mio paese e, solo alla fine di tutto faccio rientro a casa. In pratica a casa passo due forse tre mesi all’anno”. “Ma vivendo cosi”, continuo io, “in questo mondo lontano ed estremo cosa ne sai della tua terra, del mondo ma anche, e fondamentalmente, dei tuo affetti?

Non ho bisogno di televisione. Le amicizie sono il mio mondo

Goral Shep – Pangboche

Ti manca un giornale, la televisione, dei tuoi cari senti solo la voce tramite un telefonino, non dirmi che ti è agevole”. La risposta che mi da BeBe è per certi versi è sconvolgente. “Ma io non ho necessità di tutto questo! Non ho bisogno di televisione, radio e giornali. Ho le mie amicizie e conoscenze, questo è il mio mondo”. “Ed è vero” sottolineo io. L’ho visto durante le nostre giornate, intrattenesi con tantissima gente. Sembrava, e sembra, una grande famiglia dove tutti si conoscono e si danno una mano. La guida diventa sia cameriere che interprete. La stufa, che raduna tutti intorno, diventa dispensatrice non solo di calore ma anche di esperienze, aneddoti e traversie. Queste parole, in ultima analisi, mi aiutano a capire e a spiegarmi quella domanda sulle aspirazioni del ragazzo. La vita è così dura, avara e ristretta che quali aspirazioni possono crescere?

Non ci sono giri di parole

Manca una prospettiva, negata dall’esigenza economica, immediata ed impellente di cavarsela giorno per giorno. Il legame alla terra come unica fonte di sussistenza. Chi sale il gradino deve mettere in conto una vita da emigrato e da precario. Capisco allora la schiettezza di questa gente, il rapporto diretto, franco e sincero. Lo capisci anche se non comprendi la loro lingua. Non ci sono giri di parole e fronzoli. Ecco la natura, almeno delle persone incontrate, riservata e solitaria ma di grande solidarietà nel momento del bisogno e della necessità.

Domande senza risposta

Goral Shep – Pangboche

Gente che vive rinchiusa in un perimetro fatto di alte montagne, di lunghi inverni e che trova nella gente del proprio paese la solidarietà e l’amicizia che diventano il tutto e l’essenza e motivazione del tutto. Non serve televisione, non serve giornale. Quanto può durare ancora questa visione? Come gestire il salto generazionale, impressionante, che si sta marcando tra l’anziano contadino e il giovane con internet? Quali tensioni nelle famiglie abituate nel bene o nel male, molte volte, a un padre padrone e le richieste di una giusta emancipazione? Domande per ora alle quali non so rispondere. Vedremo!

Goral Shep – Pangboche

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep (5.125m.)

06 Novembre 2014 – Giovedì

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Oggi partiamo da Lobuche arriviamo all’Everest Base Camp e rientriamo a Gorak Shep (5.125 m.). Possiamo dire che oggi raggiungo lo scopo e l’obiettivo del trekking. Ogni sforzo e fatica troverà la sua conclusione raggiungendo questo posto ormai per me simbolico.

Ma il Monte Everest si vede a fatica

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

È proprio il grande giorno. La pastiglia di diuretico ha fatto il suo lavoro mi sento bene. Nessun dolore strano alla testa. Partiremo da Lobuche per raggiungere, ad ora di pranzo, Gorak Shep e, dopo pranzato dovremmo proseguire per il campo base per fare ritorno al Gorak Shep nel pomeriggio. Sono circa 20 chilometri il dislivello non è eccessivo quello che taglia le gambe sono i continui saliscendi. La parte finale del sentiero, prospiciente il campo base, è posto sul khumbu Glacier e quindi avrò modo di provare anche questa emozione. La cosa strana del trekking è che l’Everest, la montagna più alta, è quella che si vede con maggiore difficoltà. Non essendo mai in primo piano ma sempre “coperta” da altre cime.

Ghiaccio tutto attorno

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Arrivati al campo base pensereste di poterlo vedere e ammirare. Nulla di più sbagliato. l’Everest rimane sempre nascosto. Dal sentiero c’è solo un momento nel quale vedi la sua cima, a forma di cuspide, e qualcuno deve avvertirti, come nel mio caso, altrimenti corri proprio il rischio di non vederlo nemmeno. La montagna in se, non dice nulla nella sua forma tozza se non per il fatto che è la più alta del mondo. Quello che m’impressiona maggiormente è il ghiacciaio. Raccoglie le nevi di un bacino che, partendo dal Pumo Ri sul lato sinistro, arriva sino al Lhotse sulla destra, con nel mezzo l’Everest. Vedo la cascata di ghiaccio appena sopra il campo base. La sua non è una superficie piana ma irta si blocchi di ghiaccio spezzatisi lungo il trascinamento a valle.

Le immancabili bandierine

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

La pressione al suo interno deve essere enorme. Il movimento di questa massa erode e trascina, nel suo avanzare, ogni cosa. Ne è testimonianza la quantità di massi piccoli o enormi che circonda tutta la zona. Per arrivare al punto indicato come Everest Base Camp è necessario camminare proprio sul ghiacciaio. Sia a destra che a sinistra si aprono profondi e impressionanti crepacci. Al loro interno c’è dell’acqua ghiacciata come se, durante il periodo più caldo, si venissero a formare dei laghetti Con BeBe finalmente arriviamo al punto marcato come campo base. Un grande masso con l’indicazione: Everest Base Camp 5.364 metri. Dal masso partono le solite preghiere. I trekkers si accalcano per le classiche fotografie. Ne hanno ben motivo. Il posto in se non dice nulla se non il suggello di una meta raggiunta, di un obiettivo centrato.

Un viaggio in solitaria

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Anch’io, mentre mi giro intorno a questo masso, mi chiedo se ne è valsa la pena e il sacrificio. La risposta sembra quasi ovvia. Certo che ne è valsa la pena! Ma è una affermazione che pecca di ovvietà, essendo io l’autore del trekking. Cosa potresti dire di diverso se non rinnegare un anno di progetti e ipotesi? Rispondo che essere qui certifica non solo un obiettivo raggiunto ma, ancor più interessante, è un’esperienza che aggiungerò al mio bagaglio. È un coronare un processo di idee venutesi a coagulare in questo viaggio. In fondo il mio è stato in viaggio solitario, pur essendo con una guida e un portatore, fatto in luoghi lontani dalla così detta “nostra civiltà”. Solo con i miei dubbi ma anche con il desiderio di riuscire.

Everest Base Camp
Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Certamente arrivare qui da solo ha avuto un grosso limite che è stato quello della mancanza di condivisione di quanto fatto. È stata un’esperienza solo mia. È un peccato non aver avuto alternative alla solitudine. Sull’altro lato della medaglia ci sono alcuni aspetti di questa solitudine che mi hanno particolarmente arricchito. La fiducia in me stesso, nel crederci. La consapevolezza che dovevo bastarmi e che non avevo nessuno dietro a me. Certo, ho avuto la guida. Ma, in effetti, è stata una persona che mi ha accompagnato assecondando i miei desideri. Quindi mi sono mosso in funzione di un mio obiettivo e desiderio, pagato con fatica e stanchezza. Mi risveglio dai miei pensieri. Sento la gente vociare con lingue diverse.

Stanchi ma contenti

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Sono tutti contenti e stanchi. Alcuni prendono il sole, altri si dissetano, altri ancora si fotografano vicendevolmente. Anch’io scatto e mi faccio fotografare da BeBe. Anch’io ci sono! Ho impiegato tanto tempo per arrivarci che è assurdo ripartire così in fretta. Ma purtroppo, non può essere diverso. Dobbiamo rientrare a Gorak Shep. “Tutto finito” mi ripeto? Purtroppo questa parte del trekking si! Ora posso solo scendere e contare i giorni che mi separano dal rientro. Tristezza o felicità? Sono le domande che mi pongo ritornando sui mie passi.

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Ma è meglio che tiri le conclusioni alla fine mi dico . Ora è troppo presto. Vorrei lasciare decantare il tutto prima di parlare di tristezza o felicità. Ritornare sui propri passi per me è sempre strano in quanto vedo, comunque, cose diverse da prima. Ora ho il sole quasi in faccia. È accecante, pur essendo sceso preannunciando un meraviglioso imbrunire. Le ombre si stanno facendo più lunghe e pur essendoci il sole la temperatura si è abbassata. Mi giro indietro per guardare quel punto in mezzo al ghiacciaio lo riconosco per il colore sgargiante delle bandierine. Anche gli ultimi trekkers se ne stanno andando. Sono stato lì, mi ripeto, con soddisfazione. Sono stato dove nessuno che conosco è stato.

Everest
Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

La realtà come fatto soggettivo

Questo ricordo e questa esperienza sarà sempre dentro di me e nessuno me la potrà cancellare. È un mio tesoro! Mi rigiro guardando i raggi del sole che si riflettono su un piccolo ruscello. Dei trekkers mi superano, vorrei rallentare il mio cammino per spostare nel tempo il momento del distacco da questo mondo se vuoi freddo e ostile ma profondamente coinvolgente. BeBe è davanti a me sta parlando con un’altra guida. Come siamo strani! Chissà quante volte ha toccato questi posti? Forse tante di quelle volte che per lui hanno perso quel velo epico che do io alle cose. In effetti è vero, la montagna è là fredda, inanimata sono i nostri occhi, i miei occhi, a dipingerla con il colore della mia cultura ed esperienza.

Lobuche – Everest Base Camp – Gorak Shep

Come siamo diversi e unici mi ripeto vedendo in lontananza i primi lodges di Gorak Shep.Sulla destra scorgo il sentiero per il Kala Patthar. Non ci salirò! Mi sento appagato e gratificato. È stata una giusta scelta quella di “partecipare” come spettatore alla cerimonia Buddista che si terrà al monastero di Tengboche anche se della filosofia del Buddha non so nulla. Sulla sinistra, fatti pochi passi, e a proposito dell’uomo di com’è strano, m’imbatto in una persona grande e grossa che si sta divertendo a 5.000 m., con un aquilone. Siamo veramente tutti unici e diversi. Siamo arrivati al lodge. Ho desiderio di un tea. La giornata è stata lunga e fuori il cielo si è scurito parecchio guardo dalla finestra vedo le neve e il profilo delle vette. Apro una finestra e scorgo il luccichio tremolante delle prime stelle. Ormai è buio.

Dingboche – Lobuche

Dingboche – Lobuche (4.910 m.)

05 Novembre 2014 – Mercoledì

Dingboche – Lobuche

Si parte da Dingboche per arrivare a Lobuche

Dingboche – Lobuche

Lungo questo tratto da Dingboche a Lobuche cominci a prendere contatto con le principali cime che ci terranno compagnia lungo tutta la giornata e nei giorni a venire. il Taboche Peak (6367 m.), il Cholatse (6.335 m.), il Lobuche (6.119 m.), il Pumo Ri (7.165 m.), al confine con la Cina – Tibet come il Lingtren (6749 m.), il Lhotse (8.501 m.), il Makalu (8.462 m.), il Nupte (7.861 m.) l’Island Peak ( 6.189 m.). Mi sono dilungato per marcare il fatto che mi sono sentito proprio immerso, quasi soffocato da queste vette enormi e possenti. È una immensità, come sapere che, oltre a queste barriere naturali, c’è la Cina, il Tibet. Cose che ho studiato anni fa a scuola. Marco Polo, la via della seta, Gengiscan. Impossibile crederci ed esserci ma …… ci sono, vedo, assorbo.

Tutti in marcia

Dingboche – Lobuche

Sto camminando su un falsopiano il sentiero è perso tra la polvere i trekkers si spandono in questa grandezza. Non siamo in fila indiana lungo un sentiero segnato ma siamo sparsi in un’immensità. È una processione verso non so nemmeno io dove. C’è una mescolanza di nazionalità di genere e di età. Portatori con ogni cosa caricata sulla schiena dalle porte ai generi alimentari. Guide, turisti, e animali, tutti in marcia verso una meta e verso un fine. Gente che si ferma per raccogliere le forze, chi per fotografare, chi per aspettare l’amico rimasto indietro, chi per bere. Il sole è alto nel cielo. Arriviamo a Dughla (4.620 m.) qui c’è un ponte su un fiume che scende dal Khumbu Glacier.

Una durissima salita

Dingboche – Lobuche

Alzo lo sguardo e vedo, innanzi a me una salita a dir poco impressionante. È una processione di piccolissime persone che salgono, questa volta tutte in fila indiana, lentissimamente. E io dovrei salire fin lassù? Mano a mano che ci avviciniamo all’attacco di questa salita mi prende lo sconforto. Mi ci vorranno minuti e minuti per arrivare in cima. La gente si ferma ogni cinque, dieci metri a cercare di prendere quell’aria che si è fatta sempre più inafferrabile e sfuggente. Non posso che iniziare anch’io. Passo dopo passo BeBe, innanzi a me, mantiene un minimo di cadenza. È durissimo, mi fermo in continuazione. Ho il cuore in gola. Vedo le persone alla fine della salita, piccole piccole. Mi faccio forza e avanzo. BeBe fa dieci passi poi si ferma, aspettandomi. Io arrivo ansimando. Aspetta fino a quando si accorge che il respiro si calma e riparte. Uno dopo l’altro superiamo i tornanti, fino alla sommità.

Lo Stone Memorials

Dingboche – Lobuche

Le guide e i portatori ci aspettano e, nel frattempo, parlano tra loro quasi non curanti dell’invidia che mi fanno. Io ansimo e loro così con noncuranza hanno anche il coraggio di sorridere, marcando la differenza di abitudine all’altezza esistente tra noi e loro. È un noi onnicomprensivo di tutte le nazionalità possibili, dai piccoli giapponesi con l’immancabile Nikon, ai possenti teutonici. Passiamo sotto una lunga processione di preghiere agitate dal vento. Ci fermiamo a riprendere “fiato” o meglio, alla ricerca del fiato perduto. Ai miei occhi si presenta una spianata puntellata di tumuli: sono cippi commemorativi di Sherpa che hanno perso la vita tra questi monti. È lo Stone Memorials. È proprio alla fine del Khumbu Glacier, che si alimenta da gran parte delle montagne che ho elencato in precedenza compreso l’Everest, che ancora non si vede, quasi a compiacersi di giocare a nascondino. La testa mi fa male ma non me ne curo e, a questo punto decido di non mollare. Mi sono fatto un’esperienza che mi dice che in serata mi prendo un diuretico e la cosa la sistemiamo così.

La strada sembra non finire mai

Dingboche – Lobuche

Adesso proprio non cedo. BeBe estrae dallo zaino un coltellaccio e un pacchetto. Lo disfa e dentro … un pezzo di formaggio. Taglia una fetta e la porge a me e a Samir. “Grazie” gli dico. Ci sediamo e mangiamo. È la prima volta che mangio insieme a lui. Che strano. Sono stanchissimo ma non ho alternativa se non quella di camminare e camminare, la strada sembra non finire mai. Ma finisce anch’essa per oggi a Lobuche. Il lodge è grande e affollatissimo di gente proveniente da tutto il mondo. C’è chi legge, chi scrive, chi sente musica e chi parla. I portatori circondano la onnipresente stufa. Non ho mai visto animosità tra queste persone, è come se misurassero ogni gesto, ogni sguardo. Le guide cercano d’interagire con i propri clienti. Molte volte, anzi spessissimo, non ci si capisce ma si fa finta di capire o si rigira la frase. Ma non ci si arrabbia c’è una specie di euforia. Che sia l’altezza? Sono le 17:30 e tutti aspettano la distribuzione del “rancio” in un festoso chiacchiericcio. Mangio il solito.

La schiena e la fatica

Dingboche – Lobuche

Ormai comincio ad averne a noia. Zuppa di lenticchie, riso, riso e zuppa di lenticchie. Bastaaa! Alla fine ingurgito anche il diuretico accompagnandolo con il tea. Vedremo che effetto mi farà! Ormai e dentro e non ci posso far nulla. La cucina è un luogo veramente strano. È il ritrovo di tutte le guide. Finita “l’assistenza” al turista, s’infilano dentro la porta che conduce in cucina e lì oltre a mangiare se la raccontano. Con questi pensieri mi alzo. Ahi! Anche questa ci voleva. La schiena o meglio la zona lombo sacrale, comincia a dolermi. Comincio ad accumulare stanchezza e non posso pretendere. Cammino già da parecchi giorni e il mio sistema muscolare comincia a pretendere il giusto riposo. Arriverà anche questo ma, per il momento, devo tenere duro. Il dolore non è forte ma sicuramente non passerà se non con il riposo e questo lo avrò solo a Kathmandu, quando mi libererò anche dello zaino.

Si pensa ad una festa

Dingboche – Lobuche

Se domani sarà tutto ok, raggiungerò la meta fondamentale del mio trekking: il campo base. Il programma prevede anche la salita del Kala Patthar. Ma un elemento nuovo si aggiunge: BeBe mi dice che a Tengboche, dove esiste un importante monastero, si terrà, nei prossimi giorni una festa buddista molto importante e che richiama gente da tutta la vallata. “Certo è”, aggiunge che, se facciamo il Kala Patthar non riusciamo a partecipare alla festa e viceversa. Cosa fare? Non ci penso molto. “Andiamo alla festa” gli rispondo. Desidero tornare dal mio trekking anche con il ricordo non solo delle vette e dei paesaggi incontrati. Una festa è un’occasione troppo ghiotta per “entrare” in un mondo sconosciuto quale quello nepalese. Una festa religiosa m’incuriosisce anche se del Buddha non conosco nulla e me ne dispiace, ma l’idea della gente, dei colori e dei costumi è troppo stuzzicante per evitarla.

Porthse – Dingboche (4.410 m.)

04 Novembre 2014 – Martedì

Porthse Dingboche
Porthse – Dingboche

Oggi riprendiamo il trekking da Porthse a Dingboche

Ho dormito bene anzi benissimo. Dopo la colazione partiamo da Porthse verso Dingboche sono le otto del mattino. Il sentiero è un continuo saliscendi. Dopo 3 ore mi ritrovo con il mal di testa e, controllando il Garmin, capisco che mi ritrovo a 4.000 metri. Tengo duro anche se un po sconfortato e indispettivo. Prima di pranzo arriviamo al Gompa di Pangboche dove i bonzi si radunano per la preghiera.

Visita al Gompa

Porthse Dingboche
Porthse – Dingboche

C’è un profumo d’essenze tutt’intorno. Tolgo le scarpe ed entriamo. L’ambiente è scuro, senza finestre. Intravedo il classico gong. Al centro il “trono” per il monaco anziano e, ai lati, due file di posti per le orazioni dei monaci. Alle spalle della sedia per il monaco anziano, delle statue lignee rappresentanti divinità buddiste. Su un ripiano dei bastoncini d’incenso fumanti e sulla parete di destra delle piccole nicchie dove vengono riposti i testi sacri. Il posto è angusto e dal soffitto scendono dei drappi rossi e pesanti. Sulla sinistra, una piccola scatola dove i fedeli mettono la loro offerta per la manutenzione del tempio. Usciti, c’è un piccolo sagrato usato per raccogliere i fedeli.

Si riprende il cammino versp Dingboche

Porthse Dingboche
Porthse – Dingboche

Usciamo dal Gompa e riprendiamo il cammino incontrando molti turisti. Nel fondovalle scorre impetuoso e tumultuoso l’Imja Khola. Il tempo è stupendo e il cielo azzurro. Siamo sempre circondati da yak che trasportano i loro pesi, lentamente. Hanno occhioni grandissimi e un pelo lungo e lanoso, le corna possenti e gli zoccoli forti come artigli, fanno presa quando incontriamo il ciottolato. Camminano lentamente ma, inesorabilmente, si avvicinano alla meta. Dietro alla mandria il o i malgari. Urlano incitamenti al “capo branco” per spronarlo a fare da guida al resto del bestiame. Molti di questi animali respirano con affanno, come noi esseri umani. La lingua penzola, marcando che lo sforzo non è solo appannaggio di noi umani. Arriviamo, alla fine a Dingboche sapendo che i giorni a venire saranno i più belli di tutto il trekking.

Porthse Dingboche
Porthse – Dingboche

Gokyo – Porthse (3.810 m.)

03 Novembre 2014 Lunedì

Dingboche – Lobuche

Oggi da Gokyo a Porthse e così il trekking viene cambiato

Oggi sarei dovuto partire da Gokyo e salire sul Gokyo Ri ed invece mi ritrovo a ragionare se tornare Porthse

La scoperta

Mi sveglio durante la notte. Purtroppo ogni cosa è venuta a galla. Il mal di testa alla nuca si è spostato verso quella zona nella quale non avrei mai voluto sentirlo: le meningi, come dettomi da uno dei due spagnoli. Non solo, ma è un dolore pulsante e abbastanza forte. Oltre a questo, c’è una sensazione di mal stare, quasi di …. confusione. Sono le quattro e mezza. Cosa fare? Ormai è chiaro sto soffrendo di mal di montagna, anche se privo di quell’affanno di cui tanto mi aveva parlato il dottore.

Il momento della decisione

Devo decidere come muovermi. Con Marina, prima della partenza, avevo deciso come comportarmi: in caso di problemi si ridiscende senza indugi. Devo seguire questa strada? Mi rispondo di si. Non posso dire di avere paura ma posso dire che non voglio correre rischi mettendomi in difficoltà e mettendo in difficoltà la mia guida e creando ansie sciocche a Marina.

Penso che, con questa decisione, sto perdendo un’occasione unica e irripetibile. Non mi sento in colpa. E come potrei, se il mio corpo mi dice che non se la sente di proseguire? Oggi dovrei salire ancora di 400 metri, come potrei essere sereno! In effetti sono in ferie e non sto facendo nè una gara e nemmeno qualcosa che mi è stato imposto. Pensare di essere un vile, un pauroso. Certo ho paura del male! Ma anche il giudizio pesa! Ho parlato a tutti del mio trekking: arriverò al campo base dell’Everest, farò il Chola Pass! Nulla di tutto ciò!

Fingere il problema?

La cosa mi pesa? Certo non conseguirò quanto ipotizzato all’inizio ma, alla fine, mi sono anche detto che era importante non tanto raggiungere una cima o un passo quanto vivere un’esperienza nuova, vivere a contatto con un mondo diverso dal mio. Vivere l’esperienza di camminare per 14 giorni salire ad altitudini inimmaginabili. Ciò sarebbe stato di per se gratificante. Ed ora, nel momento della scelta sono così dubbioso? Quanti contrasti, quante pulsioni. Proseguire sarebbe stato fingere di non avere un problema.

Accettarela realtà

Arrendermi sarebbe stato anche il segno di una maturità e di una umanità che sa riconoscere i propri limiti. Alla fine devo riconoscere ed accettare la mia inesperienza. Quante volte, prima d’ora, ho raggiunto queste altitudini? Quanto volte prima d’ora ho vissuto questa esperienza? Mai, mi rispondo. Non ho mai provato il mal di montagna, mai mi sono avventurato a tali limiti, mai ho accettato una sfida del genere. Quindi è giunto il momento di mettere pace in me e di accettare la realtà della montagna. La realtà di un mondo bellissimo ma dalla fredda e cruda legge. Non puoi essere che umile ed accontentarti dei traguardi raggiunti. Hai respirato l’aria dei 4.000 metri hai visto cieli turchini, acque blue, vette altissime e nevi perenni ora devi decidere ed accettare il tuo limite e il tuo essere umano.

Ormai è deciso

Ormai sono le sei e devo incontrarmi con BeBe. Scendo e lo vedo. “BeBe non sto bene e ho deciso di non proseguire. Ne va del mio accordo con la mia moglie e con me stesso. Non posso permettermi di fare errori e non desidero mettere, chi mi sta vicino, in difficoltà Ti deluderò ma … pazienza”. BeBe mi guarda e mi dice: “ma come?” “Così è caro BeBe quel sordo mal di testa che mi sto portando dietro da giorni si è trasformato in qualcosa di più pesante. Scendiamo BeBe, senza rimpianti”. Intorno a me vedo anche gli spagnoli. Sono vestiti di tutto punto per la salita al Gokyo-Ri. Sono carichi e pronti mentalmente. Io mi sento un pò confuso. “Facciamo colazione” mi dice BeBe quasi a voler prendere tempo. “Va bene” gli rispondo. Sorseggio il mio tea. BeBe mi guarda come per avere una conferma della mia decisione presa nel giro di due orette.

Machermo – Gokyo

“Vuoi proprio scendere?” mi chiede, quasi a volermi dare del tempo per farmi soppesare maggiormente una decisione presa, forse per lui, troppo in fretta. “BeBe”, gli rispondo, “non porti problemi. Ho pensato e riflettuto. Scendiamo! Non mi sento bene le meningi mi pulsano, urino poco e la giornata prevede una ulteriore salita di 400 metri. Come posso vivere questo serenamente?” “Va bene”, mi risponde vedremo di riaggiornare il programma con calma alla prima occasione. Finisco colazione e paghiamo il dovuto. Mi carico lo zaino e prendiamo la via del ritorno. Rivedo i meravigliosi e silenti laghi, ricalpesto lo stesso sentiero di ieri, respiro la stessa polvere. Mi giro e vedo, in lontananza il sentiero che avrei dovuto prendere per raggiungere il Gokyo-Ri. Che peccato! Le testa mi duole ogni piccola salita diventa un pulsare alle meningi insopportabile.

Si comincia a ragionare sul da farsi

Mi fermo spesso e con me anche BeBe e Samir. Quanta gente sta salendo ed io scendo! Scendo senza portarmi con me il Chola-Pas senza quell’asperità che fa la differenza tra un trekking portato a compimento e un accontentarsi un qualcosa d’incompiuto. Mi ripeto: peccato! “Cosa facciamo?” Chiedo a BeBe. Per fortuna sono solo e non condiziono nessuno. Pensa se fossi stato con John! Lo avrei condizionato a tornare indietro con me, senza dargli l’opportunità di completare il trekking. Il primo pensiero è tornare a Lukla al punto di partenza. Ma cosa faccio là, in attesa del volo per kathmandu? Forse con BeBe possiamo costruire altre strade. Adesso mi sono fatto un’esperienza. So cos’è il mal di montagna e so a quale altitudine si manifesta. È importante per capire cosa fare in futuro e come gestire la cosa.

La proposta

“Allora BeBe” cosa proponi? Gli chiedo, visto che starmene a Lukla, in attesa del volo di rientro non mi piace affatto. “Senti!” Mi risponde. Scendiamo il mal di montagna si cura solo scendendo. Una volta raggiunto il tuo livello di acclimatazione possiamo, successivamente, provare a risalire. Certo è che farai uno sforzo doppio, nel senso che tornando indietro cancellerai tutto quanto fatto sino ad ora, mettendo in conto la successiva risalita. Praticamente la proposta è questa. Scendiamo fino al bivio che, preso a sinistra, mi ha portato fin qui ma che, a destra, porta comunque al campo base.

Ridisegnamo il trekking. La nuova meta: Gokyo – Porthse

In altre parole, evitando il Chola Pass, siamo costretti ad aggirare la vallata raggiungendo comunque lo stesso obiettivo: il campo base dell’Everest. La proposta mi piace. Adesso mi sento più capace e consapevole. Accetto! Partiamo da Gokyo e scendiamo velocemente fin dopo Dole, passiamo la foresta di rododendri. Passiamo un e ponte saliamo fino a Porthse (3.810 m.). Ormai è l’imbrunire abbiamo coperto un dislivello di circa 1.000 metri e fatto circa 25 chilometri. Sono distrutto e stanchissimo ma il mal di testa è scomparso. Ho ripreso a urinare abbondantemente. Sono felice anzi velocissimo! Ora ho capito qualcosa di me. “Senti!” Riprende BeBe “se fossi in te escluderei anche il Campo Base.

Si prendono le decisioni

Nel programma è previsto di raggiungere il Kala Patthar (5.540 m.). Da quel punto è possibile vedere ogni cosa e meglio. È un punto strategico dal quale l’Everest si vede benissimo cosa impossibile da farsi dal campo base”. “Non so!” gli rispondo. Certo è che dire di raggiungere il Kala Patthar fa un effetto diverso che dire di aver raggiunto il campo base dell’Everest anche se, insignificante come luogo panoramico, è pur sempre una meta che scrive e parla dell’Everest (8.848m.) la cima più alta del pianeta. Cedo a questa banalità e dico a BeBe: “No!. Se dobbiamo risalire lo facciamo per arrivare al campo base dell’Everest. Se poi ho fiato e gambe saliremo anche sul Kala Patthar (5.540 m.)”. “Va bene” mi risponde. A questo punto sono tranquillo. Sono già arrivato quasi a 5.000 m e il ritornarci dopo pochi giorni anche con più chilometri sulle gambe non dovrebbe essere un problema visto che ormai so cosa potrebbe succedere.

Solo ora ricordo che tra le medicine portate da casa ho anche il diuretico. Mi mangio le dita pensando che avrei potuto usarle anche a Gokyo. Ma forse no! È meglio che le cose si siano messe così. Adesso che ho risolto tutti i miei problemi posso mettermi a raccontare qualcosa che ogni giorno ho vissuto.

I lodges

Machermo – Gokyo

La stanza principale dei Lodge. Sala da pranzo? Sala di ritrovo e conversazione? Meglio dire: tutto questo!. Sono tutte più o meno uguali in quanto in mezzo troneggia sempre la stufa. Su un lato si trova il “banco” dove, tanto per capirci, nelle nostre osterie si serve da bere e si fa di conto. Bene, più o meno la stessa cosa qui.È il luogo dove arrivano le guide con i menù, dove si ordina e si paga. È il luogo dove, usando una porticina, si accede alla cucina e dal quale arrivano tutte le vivande. Lungo le altre tre pareti si trovano le panchine dove sedersi e i tavoli che sembrano più dei grandi tavolini che dei tavoli come li intendiamo noi. Tali comodini si trovano lungo i tre lati dello stanzone. Per sedersi delle lunghe panche ricoperte da pesanti plaid. Di norma si mangia incrociando le gambe e scalzi. È abitudine togliersi le scarpe e massaggiarsi i piedi mentre si parla. Per mangiare si usano indistintamente le posate o direttamente e senza problemi le mani.

Usi e costumi

Visto che sto parlando di usi, aggiungo che non esistono fazzoletti per pulirsi il naso. Il sistema è molto naturale e primitivo: le dita. Al mattino si provvede con un lavaggio della zona attraverso manovre che portano alla chiusura di una narice con un pollice e al soffiare con forza l’aria nell’altra narice e tenendo la bocca chiusa. Tutto si svolge con assoluta tranquillità e in perfetta confidenza. Anche lo sputo rientra nella normalità dei comportamenti tenuti normalmente in ogni ove e senza alcun senso di vergogna e opportunità. Ci si lava al mattino. Un secchiello raccoglie l’acqua che viene fatta scivolare da dietro la testa. Con una mano si tiene il secchiello, con l’altra ci si deterge il volto. Per i denti una veloce spazzolata aiuta a mantenerli d’un bianco smagliante.

Ritornando alla stanza concludo dicendo che alle pareti troviamo appese fotografie di parenti, immagini sacre e quella quasi sempre presente del Dalai Lama. La stufa, come già dicevo, è sempre al centro della stanza. Dopo la cena è usanza chiacchierare intorno ad essa. Si chiacchiera massaggiandosi i piedi e bevendo tea e latte. Ogni tanto qualcuno si alza entra in cucina e se ne esce con un cesto. Dentro c’è dello sterco di Yak essiccato al sole. Si apre la porticina della stufa e si riempie. Dopo ci si pulisce le mani sui pantaloni o sulla gonna. Se il fuoco tarda ad arrivare si unge il tutto con del cherosene. Dopo aver cenato raggiungo la camera. Mi lavo con le manopole, entro nel sacco a pelo, chiudo la torcia e…… buona notte.

Machhermo – Gokyo (4.790 m.)

02 Novembre 2014 Domenica

Machhermo Gokyo
Machermo – Gokyo

Oggi da Machhermo ci spostiamo a Gokyo

Machhermo Gokyo
Machermo – Gokyo

Oggi la giornata è stata veramente faticosa ma bellissima. Partire da Machhermo e arrivare a Gokyo è una fatica per il corpo ma un piacere per la vista che si apre agli occhi. La successione dei tre laghi che si susseguono fino a Gokyo sono una cosa veramente unica. I laghi in effetti sono sei ma lungo il percorso se ne incontrano solo i primi tre, i successivi sono dopo Gokyo. I laghi sono specchi d’acqua non solo incantevoli ma anche sacri. Il loro colore rispecchia quello del cielo. Un turchese indescrivibile. Il sentiero di porta proprio a toccare le loro sponde. Questa tappa (Machhermo-Gokyo) posso dire che è stata una delle migliori di tutto il trekking.

Questa tratta da Machhermo a Gokyo mi fa incontrare anche i laghi

Machhermo Gokyo
Machermo – Gokyo

Un leggero strato di neve li circonda. I trekkers sono sparsi in ogni dove, a cercare la migliore posizione per fotografare queste meraviglie della natura. I laghi sono vicini l’un l’altro e posti rispettivamente a 4.710 m., il secondo a 4.740 e infine quello entro il quale si specchia Gokyo a 4.790m. L’acqua è calma sembra immobile. Il primo refolo di vento muove la superficie che rende tremolante ogni vetta che si specchia dentro la cerchia del lago.

Si arriva a Gokyo

Machhermo Gokyo
Machermo – Gokyo

Vorrei starmene qui a guardare talmente per tanto tempo questo spettacolo da potermelo imprimere nella mente per sempre. Non potendolo fare demando alla macchina fotografica questo compito sapendo che non ce la farà mai a raccogliere delle sensazioni uniche. Il tepore, la luce, l’aria, l’ambiente la macchina non li può rappresentare. E poi, quando guardi la fotografia, sei già distante e lontano da quel momento che non torna più. Arriviamo per il pranzo al lodge di Gokyo.

La stanchezza comincia a farsi sentire

Machhermo Gokyo
Machermo – Gokyo

Per la prima volta sento un pò d’affanno e il respiro si fa più veloce. Decido di ordinare una bistecca e patate al forno. Devo mangiare qualcosa di più sostanzioso. I due spagnoli sono veramente stanchi. La coppia australiana è al cinquanta percento: il maschietto tiene la femminuccia la vedo portarsi le mani alla testa e massaggiare le tempie. Non parla, ha gli occhi chiusi. Siamo tutti stanchi solo le guide chiacchierano e sorridono aspettando il loro turno per il pranzo. Il dopo pranzo è libero e decido di farmi un giro intorno al lago. Sono le 15:00 le vette intorno al lago sono illuminate dal sole. Ho gli occhiali da neve provo a toglierli.

Intorno al lago

Machhermo Gokyo
Gokyo – Thangna – Gokyo – Portse

Gli occhi non reggono il riflesso e il riverbero: si chiudono e devo rimettere gli occhiali. Cammino solitario lungo il sentiero che costeggia il lago. Sono con la giacca a vento ma il sole scalda e, forse, potrei anche toglierla ma non mi azzardo. Vedo in lontananza un piccolo stupa e decido di raggiungerlo per sedermi a guardare. Ho le quattro case di Gokyo, proprio difronte. Ascolto e sento il rumore delle piccole ondine che s’infrangono sui sassi. Me ne sto istupidito a guardare le nuvole a mezz’aria tra l’acqua del lago e le cime delle montagne. Si muovono lentamente, quasi appoggiandosi dei declivi dei monti.

Il sole comincia a scendere

Machhermo Gokyo
Machermo – Gokyo

Davanti a me passano due signore. Le saluto si fermano. Vengono da Sydney. Anche loro non hanno parole ma solo entusiasmo, che si legge nei loro occhi e da come muovono velocemente l’indice della mano, usato per indicare quanto stanno vedendo. Il sole sta scendendo e le cime si tingono di un rosa delicato. Decido di ritornare sui miei passi anche perché la temperatura rende l’aria più frizzante. Supero una zona un pò paludosa dove il lago riceve un piccolo rigagnolo. In lontananza due yaks stanno strappando dal terreno i magri, secchi e piccoli cespuglietti d’erba presente.

Si pensa all’indomani

Machhermo Gokyo
Machermo – Gokyo

Mi ritrovo con BeBe nella sala da pranzo del lodge. Ci siamo tutti e tutti parlano animatamente. Gli spagnoli, gli australiani e un secondo e folto gruppo di spagnoli. Il mal di testa va e viene come sempre. La Signora australiana ha deciso di fermarsi domani a Gokyo. Ha mal di testa e vuole prendersi un giorno di “riposo”. Domani all’alba dobbiamo salire sul Gokyo Ri 5.360 m. una brulla ma dolce collina che sovrasta il lago. Sono un 400 metri di dislivello partendo da Gokyo. Con calma, due ore, due ore e mezzo.

Arriva l’imbrunire

Dal lodge si scorge chiaramente l’attacco al sentiero. Dalla sommità il panorama del lago e di tutto il comprensorio dovrebbe essere splendido. Parlo con BeBe di come organizzarci. Visto che facciamo rientro al lodge non ci sono molti problemi. Il sole ormai ci ha lasciati l’ultimo raggio bacia il Cholo 6.089 m. ormai siamo all’imbrunire. Dopo cena salgo in camera. Controllo che tutto sia in ordine e pronto per l’indomani. Partiremo alle sei e quindi non avrò molto tempo per sistemare o cercare qualcosa, devo avere tutto a portata di mano.