Il trekking nel Mustang 23/10/2019 Jomsom – Kagbeni

Si parte per la prima tappa Jomsom Kagbeni

Volo bellissimo tra le montagne! Oggi ho conosciuto il portatore, visto che la guida, Gopal, la conosco da tempo: il suo nome è Balman, 47 anni, 5 figli e una vita da portatore. Siamo atterrati con un’ora e mezza di ritardo ma qui, in Nepal, queste cose sono abbastanza normali. Dovevamo partire con il primo volo della giornata ma siamo partiti con il terzo. Si vola quasi a sfiorare le montagne e anche per questo molti voli vengono soppressi quando le condizioni meteo, vedi vento, diventano proibitive. La luce è radente e i campi di riso hanno un colore verde bellissimo.

Arriva il vento

Siamo atterrati e, dopo il solito tea, partiamo. Sarà la nostra prima tappa tra Jomsom e Kagbeni. Gopal dice che il vento inizia verso le 11 e termina verso le 19. Ha proprio ragione! Risaliamo il fiume Kali Gandaki, il paesaggio è brullo e senza vegetazione mentre i picchi più alti, in lontananza, sono carichi di neve. Puntuale arriva il vento, costante e forte. Alza nuvole di polvere che ci ricopre totalmente ed entra in ogni dove. Ci fermiamo a mangiare. Gopal mi consiglia spaghetti mentre lui si presta a divorare un piatto di riso, lenticchie, patate speziate e pollo, il Dal Bhat. Tra lui ed il portatore se ne sono fatti fuori due portate. Riprendiamo il cammino e ormai Kagbeni è vicina. La temperatura scende mentre il vento sale ma siamo ormai a Kagbeni, alloggio al Paradise.

Mi sistemo un po’ e riparto alla scoperta del paesino. Trovo il monastero subito appena fuori il lodge. Pago 200 rupie – circa 2 euro – per visitarlo. I monaci non permettono l’uso di macchine fotografiche ed è visitabile solo una parte del complesso che stanno preparando per una celebrazione. La cosa più suggestiva sono delle maschere che mi ricordano quelle viste a Tangboche quando ho fatto il trekking verso il campo base dell’Everest. Sono così brutte, mi dice il monaco, perché servono a scacciare i demoni.

Manca la luce

Rientro e trovo il lodge al buio. Cavolo!!! E con tutte le ricariche delle batterie che avevo programmato di fare come mi devo muovere? Va bene, non mi resta che aspettare visto che la luce prima delle sette di solito non ritorna. Volevo farmi una doccia ma senza corrente nulla da fare. Decido, prima che la sera diventi notte, di utilizzare gli ultimi spiragli di luce che entrano nella stanza per darmi una lavata con le manopole che la mia moglie mi ha dato in dotazione. “E… mi raccomando”, mi ha detto prima di partire: “una per la parte alta” e “una per la parte bassa”. Fatto questo non mi resta che dotarmi della torcia in attesa della luce che si fa attendere. Doveva arrivare alle 19 ma sono quasi le 20 e ancora nulla. Nel frattempo ho mangiato il classico pollo bello secco e… duro. Si vede che non sono i nostri polli d’allevamento.

Le solite promesse

Sono nella dining room tra sei nepalesi che parlano animatamente, non capisco nulla ma immagino cosa possano dire: guide e portatori alla fine della giornata parlano dei luoghi dove sono passati, dei problemi e delle difficoltà incontrate. Gopal poi mi racconta come anche da loro la politica delle promesse non mantenute vada alla grande. Ma dove finiscono i soldi che i turisti, pagando il permesso, versano allo Stato? Quel ponte, quella strada ci era stata promessa ma nulla si è visto, nulla è stato fatto. Credevo che solo da noi… Non è proprio così, alla fine tante cose ci accomunano specialmente nella gestione della cosa pubblica.

Dal Bhat

“Dal Bhat, rigorosamente solo Dal Bhat!” “Gopal, come potete mangiare sempre la stessa pietanza?” “Siamo abituati, così è”, la sua laconica risposta. “È un piatto completo e si dice che ci dà energia per 24 ore e noi ci crediamo. Quindi non conosciamo altro: mattina e sera Dal Bhat”. La cosa impressionante, almeno per me, è la velocità con la quale le mani, in mancanza di posate, affrontano il cibo. Gesti rapidi e precisi per mescolare il tutto e portare velocemente il cibo in bocca. Alla fine anche le dita ricoperte di riso vengono introdotte nelle fauci per uscirne “pulite”. Fatto spessissimo il bis, ci si alza, ci si porta al lavandino e ci si pulisce. Fatto questo ci si accomoda a gambe incrociate sui banconi ricoperti di pesanti cuscini e si continua a parlare o si telefona alla famiglia.

Una cosa che non manca mai, o quasi, è la linea telefonica! Sento la vocina di un figlio del portatore. Gli occhi s’illuminano. Sì, perché qui la famiglia è proprio ma proprio tutto. Ogni atto, ogni fine è in funzione di questo impegno.

Una società diversa

È una società, e non ho paura di sbagliarmi, profondamente agricola e religiosa. È un mondo dove agricoltura e religione s’intrecciano in maniera continua e profonda. Queste continue feste sono intimamente legate al mondo agreste e al mondo del soprannaturale come tanti e tanti anni fa avveniva nella nostra cultura contadina. Qui essere induisti o buddisti è normale. Non esiste, almeno a mio vedere, un problema di supremazia religiosa. Io induista partecipo anche alle feste buddiste e viceversa. La mia guida induista, quando passa vicino ad un tempio buddista, inchina la testa in segno di rispetto o raccoglie le mani in segno di preghiera.

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Marina

Tutto diverso ma … profondamente formativo!!👍🏼

Anna

Caro giorgioi pare di vederti in queste stanze arredate di nulla ma piene di convivialita’
Di silenzi e di chiacchere, di pasti semplici ma condivisi.
Sai cosa mi ricorda?I nostri paesi di una volta. Il nostro meridione dove dopo cena si riunivano nel cortile vecchi , genitori e figli a giocare, a chiacchierare e far tagli e cuci sulla vita degli altri.