Dingboche – Lobuche (4.910 m.)

05 Novembre 2014 – Mercoledì

Dingboche – Lobuche

Si parte da Dingboche per arrivare a Lobuche

Dingboche – Lobuche

Lungo questo tratto da Dingboche a Lobuche cominci a prendere contatto con le principali cime che ci terranno compagnia lungo tutta la giornata e nei giorni a venire. il Taboche Peak (6367 m.), il Cholatse (6.335 m.), il Lobuche (6.119 m.), il Pumo Ri (7.165 m.), al confine con la Cina – Tibet come il Lingtren (6749 m.), il Lhotse (8.501 m.), il Makalu (8.462 m.), il Nupte (7.861 m.) l’Island Peak ( 6.189 m.). Mi sono dilungato per marcare il fatto che mi sono sentito proprio immerso, quasi soffocato da queste vette enormi e possenti. È una immensità, come sapere che, oltre a queste barriere naturali, c’è la Cina, il Tibet. Cose che ho studiato anni fa a scuola. Marco Polo, la via della seta, Gengiscan. Impossibile crederci ed esserci ma …… ci sono, vedo, assorbo.

Tutti in marcia

Dingboche – Lobuche

Sto camminando su un falsopiano il sentiero è perso tra la polvere i trekkers si spandono in questa grandezza. Non siamo in fila indiana lungo un sentiero segnato ma siamo sparsi in un’immensità. È una processione verso non so nemmeno io dove. C’è una mescolanza di nazionalità di genere e di età. Portatori con ogni cosa caricata sulla schiena dalle porte ai generi alimentari. Guide, turisti, e animali, tutti in marcia verso una meta e verso un fine. Gente che si ferma per raccogliere le forze, chi per fotografare, chi per aspettare l’amico rimasto indietro, chi per bere. Il sole è alto nel cielo. Arriviamo a Dughla (4.620 m.) qui c’è un ponte su un fiume che scende dal Khumbu Glacier.

Una durissima salita

Dingboche – Lobuche

Alzo lo sguardo e vedo, innanzi a me una salita a dir poco impressionante. È una processione di piccolissime persone che salgono, questa volta tutte in fila indiana, lentissimamente. E io dovrei salire fin lassù? Mano a mano che ci avviciniamo all’attacco di questa salita mi prende lo sconforto. Mi ci vorranno minuti e minuti per arrivare in cima. La gente si ferma ogni cinque, dieci metri a cercare di prendere quell’aria che si è fatta sempre più inafferrabile e sfuggente. Non posso che iniziare anch’io. Passo dopo passo BeBe, innanzi a me, mantiene un minimo di cadenza. È durissimo, mi fermo in continuazione. Ho il cuore in gola. Vedo le persone alla fine della salita, piccole piccole. Mi faccio forza e avanzo. BeBe fa dieci passi poi si ferma, aspettandomi. Io arrivo ansimando. Aspetta fino a quando si accorge che il respiro si calma e riparte. Uno dopo l’altro superiamo i tornanti, fino alla sommità.

Lo Stone Memorials

Dingboche – Lobuche

Le guide e i portatori ci aspettano e, nel frattempo, parlano tra loro quasi non curanti dell’invidia che mi fanno. Io ansimo e loro così con noncuranza hanno anche il coraggio di sorridere, marcando la differenza di abitudine all’altezza esistente tra noi e loro. È un noi onnicomprensivo di tutte le nazionalità possibili, dai piccoli giapponesi con l’immancabile Nikon, ai possenti teutonici. Passiamo sotto una lunga processione di preghiere agitate dal vento. Ci fermiamo a riprendere “fiato” o meglio, alla ricerca del fiato perduto. Ai miei occhi si presenta una spianata puntellata di tumuli: sono cippi commemorativi di Sherpa che hanno perso la vita tra questi monti. È lo Stone Memorials. È proprio alla fine del Khumbu Glacier, che si alimenta da gran parte delle montagne che ho elencato in precedenza compreso l’Everest, che ancora non si vede, quasi a compiacersi di giocare a nascondino. La testa mi fa male ma non me ne curo e, a questo punto decido di non mollare. Mi sono fatto un’esperienza che mi dice che in serata mi prendo un diuretico e la cosa la sistemiamo così.

La strada sembra non finire mai

Dingboche – Lobuche

Adesso proprio non cedo. BeBe estrae dallo zaino un coltellaccio e un pacchetto. Lo disfa e dentro … un pezzo di formaggio. Taglia una fetta e la porge a me e a Samir. “Grazie” gli dico. Ci sediamo e mangiamo. È la prima volta che mangio insieme a lui. Che strano. Sono stanchissimo ma non ho alternativa se non quella di camminare e camminare, la strada sembra non finire mai. Ma finisce anch’essa per oggi a Lobuche. Il lodge è grande e affollatissimo di gente proveniente da tutto il mondo. C’è chi legge, chi scrive, chi sente musica e chi parla. I portatori circondano la onnipresente stufa. Non ho mai visto animosità tra queste persone, è come se misurassero ogni gesto, ogni sguardo. Le guide cercano d’interagire con i propri clienti. Molte volte, anzi spessissimo, non ci si capisce ma si fa finta di capire o si rigira la frase. Ma non ci si arrabbia c’è una specie di euforia. Che sia l’altezza? Sono le 17:30 e tutti aspettano la distribuzione del “rancio” in un festoso chiacchiericcio. Mangio il solito.

La schiena e la fatica

Dingboche – Lobuche

Ormai comincio ad averne a noia. Zuppa di lenticchie, riso, riso e zuppa di lenticchie. Bastaaa! Alla fine ingurgito anche il diuretico accompagnandolo con il tea. Vedremo che effetto mi farà! Ormai e dentro e non ci posso far nulla. La cucina è un luogo veramente strano. È il ritrovo di tutte le guide. Finita “l’assistenza” al turista, s’infilano dentro la porta che conduce in cucina e lì oltre a mangiare se la raccontano. Con questi pensieri mi alzo. Ahi! Anche questa ci voleva. La schiena o meglio la zona lombo sacrale, comincia a dolermi. Comincio ad accumulare stanchezza e non posso pretendere. Cammino già da parecchi giorni e il mio sistema muscolare comincia a pretendere il giusto riposo. Arriverà anche questo ma, per il momento, devo tenere duro. Il dolore non è forte ma sicuramente non passerà se non con il riposo e questo lo avrò solo a Kathmandu, quando mi libererò anche dello zaino.

Si pensa ad una festa

Dingboche – Lobuche

Se domani sarà tutto ok, raggiungerò la meta fondamentale del mio trekking: il campo base. Il programma prevede anche la salita del Kala Patthar. Ma un elemento nuovo si aggiunge: BeBe mi dice che a Tengboche, dove esiste un importante monastero, si terrà, nei prossimi giorni una festa buddista molto importante e che richiama gente da tutta la vallata. “Certo è”, aggiunge che, se facciamo il Kala Patthar non riusciamo a partecipare alla festa e viceversa. Cosa fare? Non ci penso molto. “Andiamo alla festa” gli rispondo. Desidero tornare dal mio trekking anche con il ricordo non solo delle vette e dei paesaggi incontrati. Una festa è un’occasione troppo ghiotta per “entrare” in un mondo sconosciuto quale quello nepalese. Una festa religiosa m’incuriosisce anche se del Buddha non conosco nulla e me ne dispiace, ma l’idea della gente, dei colori e dei costumi è troppo stuzzicante per evitarla.

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