Lukla – Kathmandu (1.334 m.)
11 Novembre 2014 – Martedì
Oggi veramente si parte! È una tappa di trasferimento Lukla – Kathmandu (1.334 m.) Mi sveglio alle 4 e un quarto per preparare tutto al meglio. Non devo dimenticare proprio nulla.
La partenza
Dopo la giornata di ieri, mi sento ancora un pò giù. Ma l’idea di potermi fare, finalmente, un bagno senza la paura di finire congelato e quella di mangiare, finalmente “continentale”, mi rincuorano. Dopo una veloce colazione, mi ritrovo con BeBe fuori dal lodge. Mi accompagna fino all’entrata dell’aeroporto. Cosa dire! Ci salutiamo con un abbraccio e ognuno prende la propria strada. Mi ritrovo, dopo il check-in, in attesa del volo di rientro. Orario 6:20, sono le 8 e 15 e sono ancora qui ad aspettare. Ho visto i piccoli aerei di tutte le compagnie che operano nello scalo, tranne il nostro.
Si parte!
Chiaramente nessuna informazione viene data. C’è solo d’aspettare. Alle 08:30 eccolo! Rombando, rulla sulla pista, una veloce manovra e si ferma. Scendono i nuovi trekkers. Sono tutti puliti, allegri e pieni di aspettative. Le macchine fotografiche cominciano a scattare. Che strano io mi sento un veterano. È il nostro turno. Salgo sul piccolo bimotore. È un decollo che non permette errori. Dopo 400 metri c’è il precipizio quindi tutto deve funzionare. L’aereo prende posizione. I motori sono al massimo. Il frastuono è totale. Tutto vibra. Si parte! Aiutato dalla pendenza della pista l’aereo prende subito velocità. Si alza velocemente verso il blue del cielo. Dall’alto tutto sembra immenso e noi, piccoli e presuntuosi temerari, a sfidare le forze dalla natura che ci vorrebbero prigionieri della forza di gravità. I primi venti minuti sono carichi di turbolenze.
L’incontro con Krisna
Il comandante si gira verso di noi. Sorride! Vedo in lontananze le cime. “Chissà dov’ero!”, mi chiedo. “Certamente in un punto in mezzo a quell’infinito” mi rispondo. Ormai Kathmandu è sotto di noi. Dopo tanti giorni rivedo una strada e del traffico. I motori sono al minimo. Un leggero scossone e ci ritroviamo dove la gravità ci impone di essere. Questa volta incontro il personale di Amici & Trek appena fuori dall’aeroporto. Anzi, per essere sincero, questa volta sento chiamare il mio nome: Giorgio! “Si”, faccio io, girandomi. È Krisna, l’accompagnatore che sarà con me gli ultimi due giorni prima della partenza verso l’Italia. Raggiungo l’albergo e quando sto per salutare Krisna lui mi dice: “allora questa sera ci vediamo alle 18:30”. “Per che cosa?” gli chiedo. “Sai il programma prevedeva una cena tipica a Lukla. Sappiamo che sei stato poco bene e abbiamo pensato di farla qui”.
Finalmente un bagno decente
Nooooooo, penso dentro di me. Ancora zuppa di lenticchie, riso e momo ne sono sicuro. Non riesco a dire di no. Siamo in mezzo ad un traffico terribile abbiamo percorso sette chilometri in un ora. Krisna è allegro e mi parla in continuazione. Capisco poco e anche non voglio capire molto. Penso solo ad un bagno ed a starmene in pace per riprendere le forze mangiando all’europea. Vista la cortesia di sono fatto oggetto: “va bene”, rispondo mio malgrado. “Porto mio figlio”, dice lui . Mi stringe la mano e sparisce velocemente. Io giro i rubinetti del bagno. Sento l’acqua calda scendere e riempire la vasca. Un’ora d’orologio, tanto rimango a mollo. Mi rivesto e mando in lavanderia della biancheria che calcolo mi possa servire in questi due ultimi giorni. Alla sera. puntuale arriva Krisna e suo figlio.
Una cena tipica
È sempre sorridente. In taxi arriviamo al locale tipico. È una bellissima ristrutturazione di un palazzo antico abitato da nobili della zona. È pieno di turisti. Ci togliamo le scarpe per entrare. I tavolini sono bassissimi. Non è proprio il massimo per la mia schiena. Iniziano le danze. Si, proprio le danze! Tra una portata e l’altra dei danzatori in costume tipico hanno dato mostra di abilità ballando dei vecchi motivi nepalesi. Krisna è un tipo molto aperto. Parla animatamente dei problemi delle genti nepalesi. “Non pagheremo tasse” mi dice “ma qui ogni cosa devi pagartela se la vuoi. Istruzione, cure mediche , pensione è tutto a tuo carico. È molto dura con gli stipendi da fame che abbiamo. E per fortuna io lavoro per 80 euro al mese sono un fortunato. La cena non riesco proprio a terminarla. Ho il rifiuto! Mi scuso con Krisna ed offro il caffè e un liquore a fine pasto.
Il rientro
Rientriamo in albergo ormai è notte fonda. Ci sono poche persone per la strada ed il traffico è calato parecchio. Entro in camera, sistemo due cose prima di coricarmi. Ho tra le mani il mio “amico” di viaggio: il Garmin. Alla fine quanti chilometri ho fatto in 14 giorni? Lo accendo per curiosità. Leggo sul display sono 170 chilometri e 530 metri. Mi distendo sul letto e mi addormento in un batter d’occhio. È mattino presto, apro la porta. Marina è lì, mi aspetta. L’abbraccio e le sossurro: Namaste! Poi, lentamente, mi siedo e comincio a leggerle questo mi diario………
Phakding – Lukla (2.840 m.)
10 Novembre 2014 – Lunedì
Oggi è proprio l’ultima tappa da Phakding a Lukla (2.840 m.).
Finalmente gli ultimi chilometri
Finalmente gli ultimi 8 chilometri! Mi alzo e già non mi sento al top. Nausea e solo nausea. Ho il sapore del mango e degli spaghetti ancora in bocca. Che schifo. Se vomitassi forse starei, meglio, mi dico inforcando lo zaino. Dai Giorgio, mi ripeto, siamo alla fine la giornata è bellissima come tutte le altre d’altronde. Non ho visto una goccia d’acqua o un fiocco di neve per tutto il trekking.
Ci mettiamo in movimento. Soliti saliscendi rompi gambe e ritmo. Fiatone e nausea. Non ci siamo assolutamente, non ci siamo ma ….. cosa posso farci? Si deve andare avanti senza piangersi tanto intorno. Sto diventando polemico anche nei miei monologhi solitari. Ma è mai possibile che ogni paesino deve essere in cima a qualcosa? Non ho mai maledetto tanto gli innumerevoli scalini e scale di pietra che portano ai villaggi come oggi.
Dietro la curva c’è Lukla
In effetti, questi scalini, sembrano più fatti per il passo degli animali che che per quello degli uomini, o meglio, per il mio passo. Non riesco mai a coordinare un passo con uno scalino! Non parliamo della discesa dove tutto sembra più facile se non fosse per il dolore alle ginocchia che è stato più o meno sempre presente. Guardo BeBe. Lui capisce e mi dice: “Vedi quella sommità?” Si, “gli dico”. “Bene dietro c’è Lukla!” Ma, penso tra me, sarà la solita frase “tranello”, buttata lì per farmi trovare ancora le ultime forze. Non era vero!
Finale con scoppio
Sento un rumore alzo lo sguardo e …… “la civiltà”! Un piccolo aereo , ma sufficientemente grande per riempirmi il cuore, sta atterrando dietro la collina. Sono ormai a Lukla. Ancora una piccola salita e poi ho finito. Ancora nausea. Mi fermo sul ciglio della mulattiera e, forse per la felicità o per la visione della “fine” vomito tutta la cena della sera prima. Una liberazione, un finale con lo scoppio! Un povero portatore si ferma per darmi il suo aiuto, mi indica con la mano la testa, quasi a dirmi che il vomito è causa del mal di montagna. “No”, gli dico “il mal di montagna lo già provato, questa è stanchezza solo tanta ma tanta stanchezza”. Capisco che non mi capisce ma non ha importanza. BeBe mi viene vicino e mi chiede: “come va!” “Bene”, gli dico, “ho visto un aereo!” Dio sia ringraziato.
È il momento della mancia
È finita! Passiamo il paese tra frotte di turisti. BeBe mi anticipa al lodges e mi prenota una camera matrimoniale con doccia. Deve aver preso paura e vuole garantirmi la migliore sistemazione. Davanti al lodges c’è un bel prato con tanto di ombrellone, tavolino e seggiolini. Mi siedo e invito anche Samir, il mio silenzioso portatore. È il momento della mancia. Sono imbarazzato perché non riesco a quantifica la cifra giusta. Non voglio dare poco ma nemmeno esagerare. Chi dice qual’è il giusto? Giorni addietro avevo coinvolto anche BeBe in questo discorso. Ha fatto il politico, figura presente anche a queste latitudine. È difficile da dirsi mi risponde. Ognuno è libero in questo gesto. “È difficile!” Mi risponde, “certo che il turista americano pensa in dollari e quello italiano in euro”. “E quindi” dico io? “Cosa significa?” Ho capito, faccio da me. Alla fine sia la guida che Samir sono pagati e, quindi, la mancia è comunque un di più.
Quattro conti
Domani ripartiranno con un altro gruppo e, quindi alla fine anche a loro non va proprio tanto male. L’attività di portatore per i trekkers, paragonata a quella degli altri portatori non è tra le peggiori. Portare i bagagli dei trekkers lo nette a contatto con gente straniera che, si sa, lasciano laute mance. Quindi faccio un due conti: 15 giorni a, mettiamo, 5 euro al giorno sono 80 euro. Diciamo che per me può stare contento. Sono seduto al tavolo e lo chiamo: “Samir! Dai vieni qui! Potrò offrirti un tea dopo 16 giorni si o no? Siamo stati insieme ma con compiti diversi ma non per questo non riconosco il tuo buon lavoro”. Lui non capisce una parola ma… capisce benissimo. Lo si vede dai suoi occhi e dal quel mal celato imbarazzo nei movimenti.
Il momento dei saluti
È un ragazzo e tutto è comprensibile e logico. Ha gli amici dietro l’angolo che lo aspettano. Lui dovrà raccontare della sua esperienza, e offrire un “bicchiere”a tutti, a coronamento di quanto fatto. Infatti arriva sua fratello, ci presentiamo. Capisco che dopo 16 giorni vuole solo ….. scappare e ritrovarsi nel suo mondo e tra le sue realtà. Gli allungo il denaro. Non lo guarda ma lo infila subito nella tasca. Mi fa un sorriso mostrandomi i suoi bellissimi denti bianchi. Beve il tea velocemente, mi saluta e mi ringrazia. Sparisce velocemente dietro l’angolo. Sono contento. Arriva BeBe, beviamo un tea e mi da le chiavi della camera. Gli dico della mancia che ho appena dato a Samir. Mi sembra doveroso e corretto avvertirlo. Ci salutiamo dandoci appuntamento per la cena. Lui andrà a bersi qualcosa con gli amici ed io a farmi una doccia calda.
Tremo come una foglia
Arrivo in camera. Mi spoglio velocemente. Finalmente una doccia come io la conosco. Apro l’acqua calda. Bellissimo, m’insapono. L’acqua e calda e il vapore riempie il bagno. Stupendo, fino a sentire la temperatura scemare e diventare fredda. Mamma mia, ma quando riuscirò a farmi una doccia completa! Termino con l’acqua fredda per togliermi il sapone. Sto tremando come una foglia. Mi metto mutande e canottiera e mi distendo sul letto. Continua a tremare e non riesco a fermarmi. Stanchezza, debolezza, il vomito ci manca che mi prenda anche un’influenza.
Mi copro con la giacca a vento. Nulla! Continuo a tremare. Avanti! Ci prendiamo una tachipirina, tanto per mettere le mani avanti, e mi metto sopra anche il sacco a pelo. Tremo, tremo e ancora tremo e alla fine mi addormento. Mi sveglio intorno alle 17:30 sono caldo ho paura di avere la febbre. Ma non mi passa assolutamente per la testa di misurarmela. Alle 18 mi devo vedere con BeBe per la cena. Scendo in sala lo incontro ma decido di non mangiare. Lui insiste ma io mi accontento di un tea.
Domani si riparte per Kathmandu
Domani salirò sul primo volo per Kathmandu e quindi concordiamo la sveglia. Il volo è programmato per le 06:20 quindi decidiamo di trovarci nella hall per le 05:30. Colazione e partenza , 50 metri, per il piccolo aeroporto. Gli chiedo un aiuto per il borsone. Non arriverei a portarla insieme allo zaino. “Non ci sono problemi” mi risponde. Gli allungo la mancia. “Non posso accettare una cifra del genere.” Mi dice. Capisco: è la solita e scontata manfrina. “Prendi i vestiti per tuoi figli gli rispondo”. Mi dice: “grazie!” Lo vedo e lo sento contento. Non c’è dubbio ha fatto un buon lavoro. Ho fatto veramente una bella esperienza e ne sono contento. Sono convinto che, lasciando passare un pò di tempo, mi dimenticherò dei problemi e delle fatiche e porterò con me solo i momenti più belli.
Lukla – Phakding (2.652m.)
28 Ottobre 2014 – Martedì
Finalmente si parte
Sono le quattro del mattino. Oggi si parte verso Lukla per raggiungere Phakding: è l’inizio del trekking. Il paesino di Lukla è dotato di un piccolo aeroporto considerato come uno tra i più pericolosi al mondo visto che è posto ad una altezza di 2840 m., vista la brevità della sua pista (460 m.), il fatto che non è dotato di strumentazione per il volo notturno e per le mutevoli condizioni meteo che devono essere buone per garantire partenze e arrivi. Ha una sola pista, posta in salita per ridurre naturalmente la velocità dell’aereo in fase di atterraggio e di aumentarla in fase di decollo. La pista termina a ridosso di un ciglio montuoso sul lato arrivi e di un profondo dirupo in fase di partenza. Quindi nervi saldi, che non si può sbagliare!.
Mi preparo velocemente e scendo nella hall dell’albergo qui trovo già il cameriere che ha aperto la sala per servirmi la colazione. Sono solo nel grande salone. Mi spiace quasi d’aver causato l’alzataccia del cameriere che mi assicura che, per lui, questo è normale. Un toast con marmellata e il solito tea.
Mi siedo sulle comode poltrone della hall e… aspetto. Puntuale arriva la guida insieme a Mr Govinda. Strano rivederlo, forse vuole certificare che tutto sia perfetto. Velocemente carichiamo il borsone e lo zaino sulla macchina e partiamo. La strada che conduce all’aeroporto, sette chilometri, è già trafficata, con tante persone sui lati. Chiedo come mai tanta gente e Mr Govinda mi risponde che sono persone che si alzano così presto perché, normalmente, chi prima arriva meglio alloggia nella quotidiana e faticosa ricerca di un lavoro. “Delinquenza?” Incalzo. “No! Pur essendo la capitale, la gente è abbastanza tranquilla” mi viene risposto. C’è rispetto per le persone e la proprietà. Tanta miseria sì ma, anche, tanta dignità e fierezza
Arriviamo a/l’aeroporto. Il mio borsone pesa circa 20 Kg, non riesco a maneggiarlo facilmente. Un ragazzino mi si avvicina, me lo prende dalle mani e se lo carica sulla schiena con una velocità impressionate . Penso subito al peggio: vittima di un furto! “Calma”, mi anticipa BeBe, “ogni turista che viene visto armeggiare con qualcosa è motivo di attenzione. I ragazzi si fiondano, proponendosi come portatori. Questo ha deciso di portarti la borsa fino all’entrata dell’aeroporto. Tutto qui”.
Arriviamo all’aeroporto
Qui funziona così! Guadagnarsi la mancia significa guadagnarsi una scodella di riso per il pranzo. Qui è tutto un lottare per i bisogni primari, nulla si spreca. Ormai albeggia e un serpentone di turisti si accalca alle porte dell’aeroporto ancora chiuse. C’è un gran vociare e un gran spingersi per la posizione migliore. Le porte si aprono e sei spinto verso l’entrata. Arrivati, il ragazzino posa a terra il borsone. Capisco che il servizio è terminato. Quattro monete bastano per un sorriso un Namaste, e un inchino a mani giunte. Lo vedo sparire velocemente alla ricerca di un nuovo turista. La guida mi aiuta a trasportare il borsone fino sulla soglia della zona partenze. Dal suo zaino prendono i biglietti. Ok, ci si muove. Oh, questa è nuova! Siamo fatti salire con tutti i bagagli su una bilancia!!!
Ci pesano. Sicuramente per controllare la coerenza dei pesi con il settaggio dell’aereo al momento del decollo. Finalmente si parte. Saliamo sul piccolo pulmino che ci accompagna fin sotto il minuscolo aereo. Una breve scaletta e siamo al suo interno. Dodici o quattordici posti a sedere, tutti con finestrino, un piccolo corridoio e, alla fine, la cabina di pilotaggio. Abbiamo anche la hostess che passa, a testa bassa per non prendere colpi, con un vassoio contenente caramelle e …. batuffoli di cotone. Sul momento non capisco ma appena accesi i motori, tutto mi è chiaro! Il rumore è assordante. Un veloce rullaggio e ci alziamo. Sono proprio vicino alla elica di sinistra. Non ho paura ma non posso pensare a quanto l’uomo sia temerario. In fondo quelle piccole pale d’elica che ruotano vorticosamente sono, insieme al motore e le ali, la nostra ancora nel cielo. Uno spettacolo!
In lontananza le alte montagne coperte di neve. Il cielo terso. Il sole è già abbastanza alto per poter distinguere con chiarezza le valli senza alcuna ombra. Che strano, le strade sono sparite, come le vetture. Le montagne sono dolci prive, di rocce, solcate da mulattiere e sentieri con congiungono piccoli villaggi posti sui punti più dolci dei declivi. Il verde dei terrazzamenti è bellissimo. Non sento più il rumore del motore, tanto sono catturato da questo panorama agreste e bucolico.
Si torna a Kathmandu
Vedo la hostess muoversi verso la piccola cabina di pilotaggio confabulare con il pilota. Poi l’annuncio: per problemi tecnici si ritorna a Kathmandu. Cosa dire? Cosa pensare? Una veloce e stretta virata ci riporta sulla rotta di casa. Ci guardiamo l’un l’altro. Speriamo di cominciare questo trekking! Passa un quarto d’ora e ci ritroviamo alla partenza. Ci riconducono nella zona partenze. Dobbiamo aspettare che risolvano il problema. Dopo un’ora e mezza ritentiamo stesso aereo stesso decollo.
Il comandante, in tenuta avio, bel maglione blue, occhiali ray-ban e cuffie alle orecchie si gira verso di noi sorridendo. Sembra dirci: sono qui io e quindi non dovete preoccuparvi sono cose che capitano. Spero sia proprio così e riprendo a guardare il panorama ma, anche, a controllare l’orologio per vedere quanti minuti ci separano dall’atterraggio. Ci stiamo muovendo verso le montagne ma stiamo anche scendendo di quota. Ad un certo momento vedo l’ombra del piccolo aereo che si proietta sulle pendici di una montagna. Siamo proprio vicini a Lukla. Ancora una stretta virata sulla destra ed eccoci arrivati. Con un sobbalzo si tocca finalmente la pista, i freni sono prontamente messi in funzione. Ci fermiamo. Ora dobbiamo finalmente muoverci noi. BeBe ed io scendiamo dalla scaletta e preleviamo la borsa e gli zaini. L’aria è tersa e fresca. Mi aspettavo una temperatura più rigida invece la sensazione è piacevole.
Finalmente ci muoviamo
Ora il problema è trovare un portatore che ci accompagni per il lungo trekking. Ma per BeBe non è un problema. Mi lascia nella grande lodge, situata vicino all’aeroporto, e si mette alla ricerca mentre io sorseggio un caldo tea. Ciò fatto, questo esco a godermi il paesaggio. Telefono a Marina con il satellitare. Desidero farle sapere che tutto è andato per il verso giusto ma non le accenno dei problemi tecnici avuti all’aereo. Non serve.
Lukla – Phakding
Sono le 10:30 e BeBe arriva con il portatore. Un ragazzo molto giovane: Samir. È simpatico, con il sorriso sempre sulle labbra. Denti bianchissimi e capelli lisci e scuri come l’ebano. “Come ha fatto a trovarlo così in fretta?” chiedo alla guida. “Non ci sono problemi” mi risponde. “Ci conosciamo da parecchio tempo. Fa il contadino e quando passo e lo trovo disponibile, non si tira mai indietro”. Oggi è il primo giorno. Partiamo da Lukla per raggiungere Phakding sono le prime tre ore di un viaggio in un mondo lontano ed esotico Il ciottolato di Lukla diventa ben presto una mulattiera percorsa da decine di turisti, da decine e decine di muli, yaks e portatori con i loro impossibili pesi. Le merci sono le più disparate ma tutte legate da un minimo denominatore che è quello di permettere l’esistenza alle popolazioni delle valli.
Non parlo esclusivamente dei prodotti agricoli ma di quei prodotti tipici di una civiltà che non si basi esclusivamente sull’agricoltura. Prodotti inscatolati, prodotti per la concimazione dei terreni, prodotti legati al vestiario, alla manutenzione, alla cura del bestiame e della popolazione, generi alimentari e di conforto, bombole di gas, stufe, mobilio, tappeti e qualsivoglia prodotto per il lavoro e la casa. Insomma tutto ciò che serve ad una comunità perché possa vivere in zone impervie e inospitali. Tutto viene trasportato lungo queste “arterie”. Cammino lentamente dietro BeBe che mantiene il ritmo. La valle si fa stretta incontriamo numerose cascate . Costeggiamo sempre il Dudh Kosi River che superiamo diverse volte usando i famosi ponti sospesi.
Sono tutti uguali, nell’ampia e unica arcata dove il sottostante spumeggiare dell’acqua rende la nostra voce sorda a qualsiasi orecchio. Le preghiere poste lungo gli scorri mano sventolano incessantemente all’aria sempre presente. Aria sempre tesa e fastidiosa che sembra volerti, ogni volta, portar via il cappello. Dondoli leggermente, passo dopo passo, nel raggiungere l’altra sponda. Ti sposti quando incroci altre persone ma ti fermi e fai retromarcia se dovessi incontrare qualche mandria. accompagnata sempre da uno o più mandriani che incitano il capo mandria a procedere e a vincere la naturale diffidenza verso qualcosa di innaturale che si presenta sotto le proprie zampe. Se avanza lui, tutto il resto della mandria prosegue altrimenti… basta lo schioccare della frusta per convince i più refrattari a procedere.
Si arriva a Phakding
Dopo otto chilometri raggiungiamo la meta: Phakding (2652 m.). Cosa dire è un villaggio come tanti e tanti altri simili. Diciamo un villaggio di contadini dei quali alcuni riciclati in albergatori e o cuoci. Sono villaggi piccolissimi le cui case si affacciano sulla strada principale.
Una strada fattasi il più delle volte di ciottolato. Qualche stupa disseminato lungo i punti strategici, sulla sommità di una collina, o nel centro del villaggio. Le immancabili ruote che, spinte dalla forza del passante, raccontano di preghiere rivolte alla divinità. È un modo per ingraziarsi la benevolenza del Dio nel quale credi e dal quale speri in un “occhio” di riguardo verso la dura vita della montagna. La gente è semplicissima, cordiale, sempre sorridente, mai irosa. C’è un ritmo particolare, mai agitato o frenetico nel camminare, nel gesticolare e nel rapportarsi agli altri.
Ritrovi, in ogni dove, il carattere profondamente contadino e montano di queste genti. Profondamente solidali gli uni agli altri. Sembrano tutti conoscersi e facenti parte tutti di un unico universo, plasmati dalla durezza della vita non necessariamente fatta di privazioni ma plasmata da un ambiente aspro e povero che parla di frugalità, dove ogni cosa è calcolata, meditata e riservata per tempi peggiori. La parsimonia è obbligata, a partire dall’acqua per arrivare al fuoco che deve riscaldarti. Non esiste il superfluo ma il calcolato, non esiste il futile ma l’essenza. Non credo sia una scelta di vita o una scelta filosofica/religiosa in quanto, molte volte, purtroppo manca l’opportunità di una scelta. La strada è già imposta o segnata. Penso che il clima, l’altezza e la montagna stessa non diano spazio a scelte ma ad adattamenti e convivenze con qualcosa di più forte di te: una natura selvaggia e meravigliosa ma anche fredda e distaccata dalle emotività dell’uomo e dalle sue aspirazioni, che possono essere spazzate via in un attimo da una nevicata, o dalla piena di un fiume. È tutto così precario e fugace che il vivere prende un ritmo diverso, dove le tue leggi sono molto diverse da quelle che regolano la vita degli abitanti di questo mondo lontano.
Il trekking per me è proprio questo: un tentativo di “entrare” in un’altra dimensione a te sconosciuta e lontana, toccare realtà profondamente diverse dalle tue. È staccarsi dalle tue convinzioni, è capire le difficoltà di gente caparbia e fiera che comunque sorride e ti dimostra che c’è anche una diversità fuori da casa, capace di motivare le persone.
Capisci allora che si può studiare e far di conto anche sul ciglio di casa, sotto il pallido solo del mattino. Hai bisogno dell’essenza: una penna e dei fogli. Non servono scarpe e vestiti da mostrare, ma solo di desiderio d’imparare. Questa “forza” questo “impulso” sono una speranza e una sorta di dignità che rendono questa gente meritevole di profondo rispetto. A forza di “parlare” non mi accorgo che il tempo si è imbigito ma siamo arrivati e quindi sono contento. Siamo pronti per una buona birra. Che mi viene portata al tavolo da BeBe al quale chiedo se posso farmi una doccia. “Certo” mi viene detto “ma aspetta che chiedo al titolare”. “La doccia? Si è possibile ma stiamo aspettando le batterie per la caldaia. Dovrebbero arrivare a minuti”.
Qui il tempo si dilata all’inverosimile. Lo uso per sistemare lo zaino e preparare la biancheria pulita. È un continuo lavoro quello di sistemare, rivedere, riporre e aggiustare borsone e zaino.Alla fine le batterie sono arrivate. Mi ritrovo nello sgabuzzino, adattato a bagno e doccia.
La doccia
Chiedo se esiste un tempo entro il quale fare la doccia o un limite nell’acqua a disposizione. Il gestore mi dice di no e mi spiega come azionare la caldaia e di avvisarlo appena finito, in quanto avrebbe dovuto chiudere la bombola del gas. Provo a vedere se tutto funziona. Si funziona! Appena apro il rubinetto dell’acqua calda la caldaia entra in funzione e l’acqua si scalda rapidamente. Mi svesto e …. via sotto l’acqua bollente. È un piacere indescrivibile dopo una giornata di cammino. M’insapono velocemente anche perché i vetri alle finestre sono rotti e la temperatura è scesa.
Ad un certo momento sento una voce: “Is it fine?” “Si” rispondo “tutto è ok!” Conseguenza: la caldaia si spegne. Rimango mezzo insaponato. Finisco la doccia con l’acqua gelata. Forse la “dolce personcina” che voleva informazioni ha capito, dalla mia risposta, che avevo finito. Pazienza. Mi asciugo velocemente e altrettanto di fretta mi vesto. Adesso devo aspettare BeBe che è andato a trovare degli amici.
Le sorprese non finiscono mai
Premetto che ho sempre portato passaporto e denaro appesi, in un astuccio, al collo. Dopo essermi cambiato porto istintivamente le mani al petto e…… dov’è l’astuccio? L’avevo fino ad un momento prima della doccia, non può essere sparito. Cerco in ogni dove, sotto il letto, sotto e dentro il sacco a pelo. Niente! Non trovo quello che cerco. Giorgio calma! Dove vuoi che sia? Eppure l’astuccio con i soldi e passaporto non si trovano. Metto le mani nello zaino: nulla!!!!
Cavolo! Ma proprio ogni giorno una sorpresa, Basta. Ormai è scuro Accendo la torcia visto che la luce non funziona e, mi rimetto a cercare con più calma. Comincio a pensare che qualcuno nel mentre facevo la doccia, avesse potuto far visita alla mia camera. Ma ho usato sempre le chiavi quindi ho sempre chiuso tutto. Rifaccio tutto il percorso dalla camera al bagno con la torcia. Nulla il portafoglio non si trova. Disfo completamente il borsone. Nulla!! Cosa faccio adesso?
Per i soldi “pazienza” ma il passaporto, con il permesso quello no! Devo avvisare la guida! Scendo e lo trovo che stava chiacchierando vicino ad una stufa accesa. “BeBe non trovo il portafoglio” gli dico concitato. “Cosa? Mi fa lui!” “Si, non lo trovo.” Corriamo su in camera, tra le mie imprecazioni sulla mala sorte. Ripasso per l’ennesima volta il tutto. Questa volta capovolgo lo zaino ….. “eccolo!” Esclamo. S’era incastrato non so come lungo le pieghe dello zaino e non si lasciava trovare al mio tatto. Capovolgendo il tutto è caduto.
Stai calmo
“Maledetto, ti ho trovato finalmente!” BeBe mi guarda e mi dice: “stai calmo non agitarti”. Poi sorride ed esce dalla camera. Io mi calmo e mi ripeto: “Giorgio devi stare più calmo”. Mi ritrovo con tutto sparpagliato nella camera da letto. Devo rifare il borsone e lo zaino. Per l’ennesima volta ripasso ogni cosa rimettendola con cura nel mio meraviglioso borsone. Chiudo con la zip e con il lucchetto ogni cosa. Sono sveglio dalle quattro del mattino e sono stanco. Scendo per la cena. Sono quasi le sette. Ormai è notte e troppe cose sono successe in una giornata lunghissima e, che ancora, non finisce.
Dopo la cena mi ritrovo a parlare con un Nepalese in Inglese. È il segretario di un vice ministro che si occupa di turismo e cultura. È in ferie e aveva deciso di trascorrerle nella regione di Kumba per acquisire informazioni utili al suo lavoro in ambito turistico.