Il Trekking nel Mustang 25/10/2019 Chele – Sangbochen

Chele Sangbochen

Gopal tiene il ritmo tra Chele e Sangbochen

Oggi abbiamo fatto il nostro dovere! Quasi 16 sono i chilometri che dividono Chele da Sangbochen. Il problema è che siamo partiti da 3.000 metri per arrivare ai 3.950 metri andando avanti come se fossimo in altalena. Si saliva a 3.650 metri per ridiscendere a 3.250 metri, una tortura per il fiato e le gambe che, alla fine, diventano dure e vanno avanti per inerzia. Gopal tiene il ritmo, passo dopo passo, poi si ferma e mi aspetta. Tra i due paesi si snoda la strada inaugurata un anno fa che collega Pokhara al confine cinese. Opera maestosa che è costata tanti anni di lavoro ma che Gopal sembra non riconoscere come via praticabile.

Un paesaggio lunare

Chele Sangbochen

Appena trova l’occasione taglia per un sentiero capace di saltare un tornante o un lungo tratto. Tra camminare di più con minor fatica – quindi lungo la strada – e camminare di meno con più fatica – lungo i sentieri – lui sceglie sempre la seconda soluzione. Dall’alto vediamo la destinazione, sembra vicina ma non è proprio vero. Inizio ad essere stanco, fa freddo ed il vento si alza impetuoso con raffiche che sollevano un mare di polvere.
Il paesaggio è lunare, il cielo di un blu indaco strepitoso. Le montagne sono prive di alberi. Ci sono solo ciuffi di cespugli che ne rivestono le pendici. Certi declivi sono di un giallo intenso. Camminando mi vengono in mente i colori che ritrovo nei chorten o stupa lungo la strada o gli addobbi nei monasteri. Sono gli stessi colori forti, decisi e saturi della natura. I muri, i ciottoli che sorreggono le case sono di un rosso carico come le porte dei monasteri e come gli interni dei luoghi di culto.

Chele Sangbochen

Non c’è morbidezza o sfumatura nel colore ma forza e decisione nella sua intensità, quasi a richiamare il carattere deciso e orgoglioso di questa gente. Gente che vive con dignitosa compostezza ogni aspetto della giornata, pur nella miseria materiale e nella durezza delle condizioni della vita. È gente di pacatezza unica. Lo noti quando li vedi nel traffico cittadino, alle prese con la mancanza di corrente elettrica, al ritardo di un volo o di un mezzo di trasporto. Non trovo la parola corretta ma non è rassegnazione, che collego a sconfitta, ma una sorta di profondo allenamento alla saggezza. Forse, ciò che mi lascia basito è la filosofia del Buddismo che ha plasmato queste genti ad un distacco e ad una “lontananza” tra le cose della vita quotidiana ed il proprio io. Mi vedo alla fermata dell’autobus quando questo è in ritardo o al telefonino che non prende la linea e vedo loro, nella stessa situazione. Mondi diversissimi e lontanissimi.

Cosa sto cercando?

Chele Sangbochen

Stringo i denti e vado avanti, ma così facendo mastico anche i granelli di sabbia che si sono infilati in bocca nonostante la bandana posta a difesa. Il respiro è affannoso, mi fermo spesso a prendere il fiato che mi manca. Ho fame d’aria! La cima è vicina: ma perché questa fatica? Che senso dare a tutto questo? Questi passi così pesanti in questo bianco borotalco finissimo che senso hanno? La cosa buffa è che forse nemmeno io riesco a darmi una spiegazione. Perché è tutto così irrazionale alla fine? Cosa sto cercando? A cosa serve rinunciare al mio cibo abituale, a cosa serve rinunciare al mio comodo letto o alla mai adorata doccia? A cosa serve stare lontano dalla mia Signora per 21 giorni e venire qui, lungo un sentiero sperduto in un angolo sperduto di mondo tra gente così diversa? Quante domande senza una seria e definitiva risposta!

Doccia

Arrivo a Sangbochen! Non vedo l’ora di farmi una doccia, di lasciare che l’acqua calda mi tolga la sensazione di avere la sabbia, raccolta lungo il percorso, in ogni dove. Bellissimo! Sono avvolto dal vapore. Esco dalla mia stanza e incontro Gopal e il portatore. La loro doccia non funziona. “Gopal, Balman”, dico, “la mia doccia funziona, usatela”. Entrambi mi rispondono con un no orgoglioso e deciso. C’è sempre questa distanza tra cliente e guida o portatore. Non esiste confusione di ruoli tra le parti in gioco. Ognuno recita la propria parte e il proprio ruolo. Il cliente va “servito”. Lo impone la professionalità, che non cede alle lusinghe di una doccia ma rimane fedele ad un concetto. Gente strana questa, che sembra così flessibile, così addomesticabile e votata al compromesso ma che in effetti risulta essere più complessa di quanto sembri al primo contatto.

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Anna

Cosa ti porta ad essere li?
Principalmente la tua curiosita’che ti porta a voler sperimentare situazioni nuove. Il tuo essere mentalmente sempre in movimento. Tu sei così. Paesaggi, colori, profumi, persone, usanze, idee diverse è questo che ti porta a metterti alla prova e poi la voglia di raccontare e di portare chi ti ascolta dentro le tue esperienze per viverle e condividerle