Compagnia d’assicurazione

Scegliere la compagnia d’assicurazione

Per quanto attiene l’assicurazione per un trekking in Nepal, come quelli da me fatti, il problema  assicurativo è da tenere in debita considerazione. Di contratti assicurativi il mercato ne offre tantissimi come tante sono le compagnie che offrono servizi di tutti i generi. Nel decidere quale compagnia scegliere ho considerato:

  • l’attività che sarei andato a svolgere;
  • la massima altezza sul livello del mare raggiunta durante il trekking;
  • e il rischio più alto che avrei corso: quello del mal di montagna e del mio eventuale recupero in zone impervie e disagevoli dal punto di vista logistico.

Una descrizione dettagliata

Vista la particolarità dei trekking da me fatti e il costo economico di un recupero ad alta quota, la prima cosa che ho fatto è stata quella di mettermi in contatto con diverse compagnie assicurative e descrivere il trekking con tutti i dettagli dello stesso: durata, distanze e massima altezza raggiunta ecc. ecc.. Una cosa importante è chiarire fin da subito che l’attività di trekking non è un’attività alpinistica.

Questo perché molte compagnie escludono a priori la copertura assicurativa per l’attività alpinistica. Tale attività si caratterizza per l’uso della corda. Il trekking non usa attrezzature alpinistiche e quindi tale copertura dovrebbe essere fornita senza difficoltà e senza un sovrapprezzo del premio. Altra cosa importantissima è che l’assicurazione riporti, tra le clausole contrattuali, il fatto che, in caso di seri problemi sanitari o di gravi infortuni, il recupero possa essere previsto con tutti i mezzi possibili ed idonei a raggiungere l’assicurato anche in zone impervie dove la velocità dell’intervento diventa fondamentale.

Decisioni pre approvate dalla compagnia d’assicurazione

È da tenere presente che la compagnia deve essere tenuta al corrente di quanto sta accadendo e le spese devono essere da essa pre-approvate. In caso di urgenza e gravità dove è in pericolo la vita dell’assicurato è necessaria la decisione di un medico locale che, valutando la situazione di pericolo, indica la migliore strada da intraprendere per salvaguardare la salute dell’assicurato . Sarà la decisione presa da un terzo (guida alpina titolata e successivo medico) che farà fede presso l’assicurazione per dar corso al rimborso delle spese. Questo per dire che la situazione, in caso di problemi, è sempre particolarmente delicata. Per questo, prima della partenza, è necessario chiarire molto bene questi particolari.

Nel mio caso ho sempre mandato una email alla compagnia descrivendo il trekking e tutte le possibili complicanze e aspettando una loro risposta nella quale accettavano di coprire il rischio.

I costi sono molto alti

Questo aspetto deve essere molto chiaro sia per il sottoscrittore della polizza che per la struttura di soccorso ingaggiata la quale, a sua volta, deve essere sicura che i costi sostenuti saranno rimborsati. Recuperare un infortunato in alta quota con un elicottero costa parecchio e comporta rischi anche per i soccorritori.

Ho deliberatamente tralasciato le compagnie che operano esclusivamente online. Ritengo sia importante parlare direttamente con un assicuratore di quanto andrete a fare e degli eventi che volete assicurare. Ho avuto la fortuna d’incontrare persone serie che mi hanno indirizzato loro stesse verso compagnie specializzate a coprire questi rischi e capaci, strutturalmente, di darvi sicurezza nel trekking che andrete a compiere.

Essendo argomento delicato non menzionerò alcuna compagnia assicurativa. In caso qualcuno fosse interessato a coprire i rischi connessi con una esperienza del genere (cancellazione, bagaglio, infortunio, morte, ecc. ecc.) può contattarmi e a quel punto sarà mia premura parlarvi della mia esperienza in maniera più dettagliata.

Durffel bag zaino e trolley

Ecco cosa mi sono portato da casa per i miei trekking

Un difficile equilibrio

Extreme. Carica batteria solare.

In calce ho riportato, in un elenco, tutto il materiale usato durante i miei trekking, tenendo conto da una parte dell’attrezzatura necessaria e dall’altra del suo peso, legato alle imposizioni riguardo ai bagagli dettate dalle compagnie aeree. Ho stipato tutto in una durffel bag inserendovi, al momento della partenza dall’Italia, anche lo zaino e portandomi per il viaggio in aereo un trolley. Quindi sono sempre partito con una durffel bag e un trolley. Alla fine non tutto effettivamente mi è servito anche perché, in molti casi, è stato possibile lavare i capi durante il tragitto.

I kg. trasportati

Al momento della partenza il totale il peso totale dei miei bagagli si è sempre aggirato sui 28 chilogrammi. È buona norma attenersi anche alle disposizioni dettate dal “sindacato” dei portatori nepalesi che invitano caldamente la clientela a non superare un bagaglio, per il portatore, dal peso di 20 Kg. È una regola di buon senso e di rispetto verso chi lavora in quelle condizioni. Pur di racimolare qualche soldo in più, i portatori sono disposti a disconoscere queste norme a discapito però della loro sicurezza e salute. Quindi, alla fine, la mia durffel bag è sempre pesata sui 20 Kg. mentre lo zaino giornaliero aveva un peso, a pieno carico, di circa 8 chili compresa l’acqua. È da tenere presente che parte del vestiario e della biancheria, utile al trasferimento dall’Italia al Nepal e viceversa, l’ho lasciata in deposito all’interno del mio trolley in albergo a Kathmandu.

Diversi approcci tutti validi

Polar AXN 300

Molti usano un approccio diverso, preferiscono partire con poco per acquistare in loco quanto serve e lasciando al portatore, a fine trekking, magari a titolo di mancia, parte dell’abbigliamento acquistato.

Elenco e chek-list dell’attrezzatura che mi ha sempre accompagnato nei miei trekking

Materiale-per-per-il-trekking

Il mal di montagna

Il mal di montagna è una condizione patologica causata dal mancato adattamento dell’organismo alle grandi altitudini, in particolare dovuta alla più bassa pressione atmosferica che determina una ridotta presenza di ossigeno nell’organismo generando uno stato di ipossia.
Generalmente si verifica al di sopra dei 2.500 metri s.l.m.. Si tratta di una condizione pericolosa che, nei casi più gravi, se non tempestivamente e opportunamente trattata può anche essere letale.

L’ipossia

La suscettibilità al mal di montagna è diversa da soggetto a soggetto. Per alcuni soggetti i sintomi iniziano a comparire al di sopra dei 1500 m s.l.m.. Diete ad alto contenuto di carboidrati possono fornire un sollievo sintomatologico. I carboidrati, a differenza dei lipidi, possono essere metabolizzati in condizioni muscolari anaerobiche e consentono di mantenere un adeguato livello di glicemia, indispensabile per l’attività del sistema nervoso centrale. I sintomi sotto riportati sono riconducibili agli effetti neurologici delle condizioni di ipossia e ipoglicemia. L’ipossia è almeno parzialmente risolvibile tramite un adeguato periodo di acclimatamento. La velocità di ascensione, l’altitudine raggiunta, l’entità dell’attività fisica ad alta quota e la suscettibilità individuale sono tutti fattori che contribuiscono all’incidenza e alla severità del mal di montagna

I sintomi

La cefalea è solitamente il primo sintomo del mal di montagna.
Quando si associa a uno dei seguenti sintomi:

  1. Anoressia (perdita di appetito), nausea o vomito
  2. Fatica o astenia
  3. Vertigini o senso di stordimento
  4. Insonnia
  5. Irritabilità

deve subito indurre a sospettare la diagnosi.

L’edema polmonare da alta quota (High-altitude pulmonary edema, HAPE) e l’edema celebrale sono i più minacciosi tra questi sintomi, mentre emorragia retinale ed edemi periferici sono forme più lievi del malessere. I primi sintomi del mal di montagna comprendono fiacchezza, malessere generico e debolezza, in particolare durante gli sforzi fisici. Sintomi più severi sono cefalea, insonnia, battito cardiaco costantemente accelerato, nausea e talvolta vomito, in particolare nei bambini. Sintomi estremi comprendono confusione mentale, psicosi, allucinazioni, sintomi derivanti dall’edema polmonare (fluidi nei polmoni) quali tosse persistente, e infine raptus, coma e morte.

L’edema

I sintomi più seri di mal di montagna sono dovuti all’edema (accumulo di fluidi nei tessuti corporei). A grandi altitudini, gli esseri umani possono contrarre edema polmonare da alta quota (HAPE), o edema cerebrale da alta quota (HACE). Queste sindromi sono potenzialmente fatali. La causa fisiologica degli edemi indotti dall’alta quota non è stata stabilita definitivamente. Per chi soffre di HAPE o HACE, il Dexametadone può fornire sollievo temporaneo che consente di poter scendere di quota con le proprie forze. L’HAPE si manifesta all’incirca nel 2% delle persone che si adattano ad altitudini di circa 3000 m o più. Può minacciare la vita. I sintomi comprendono affaticamento, dispnea, cefalea, nausea, tosse secca senza flemma, edema polmonare, ritenzione di fluidi nei reni e rantoli.

La discesa ad altitudini inferiori allevia i sintomi dell’HAPE. L’HACE è una condizione rischiosa per la vita che può portare al coma e alla morte. Si verifica all’incirca nell’1% delle persone che si adattano ad altitudini di circa 2700 m o più. I sintomi comprendono cefalea, affaticamento, indebolimento della vista, disfunzioni alla vescica e all’intestino, perdita di coordinazione, paralisi laterale, confusione e riflessi rallentati. La discesa ad altitudini più basse può salvare la vita a chi viene colpito dall’HACE.

L’acclimatamento all’altitudine è uno stato di adattamento a livelli inferiori di ossigeno ad alte quote, raggiungibile attraverso un processo di adattamento, detto acclimatazione, allo scopo di evitare il mal di montagna. Durante questo periodo la mancanza di ossigeno nel sangue induce principalmente la produzione di un ormone, l’Eritoproteina (EPO), il quale promuove lo sviluppo di nuovi globuli rossi, aumentando pertanto la capacità dell’organismo di prelevare ossigeno dall’aria.

È un problema di pressione

In alta montagna, l’ossigeno presente nella miscela gassosa che compone l’aria che respiriamo è presente nella stessa percentuale di quella al livello del mare. Cambia però la pressione parziale che si riduce notevolmente con l’aumentare della quota e diminuisce dunque la quantità di ossigeno per unità di volume. È questo il motivo per il quale al nostro organismo arriva un apporto di ossigeno insufficiente.

Una volta superati i 3.000 metri la gran parte degli scalatori e degli escursionisti d’alta quota segue la “regola aurea” – cammina/scala in alto, dormi in basso. Per gli scalatori d’alta quota, il modo per acclimatarsi consiste nello stare per alcuni giorni al campo base, arrampicarsi (lentamente) fino a un campo più alto, starvi inizialmente per una notte, quindi tornare al campo base. Questo procedimento viene ripetuto alcune volte, aumentando ogni volta il tempo trascorso a quota più elevata, così da abituare il corpo ai livelli di ossigeno. Una volta che lo scalatore si è abituato a tale altitudine, il processo viene ripetuto con un campo posto a quota più alta.

La regola generale è quella di non salire più di 300 metri al giorno per dormire. Ciò significa che si può scalare passando da 3000 a 4500 metri in un giorno, ma si deve discendere fino a non più di 3300 per dormire. Questo processo non può essere accelerato, e ciò spiega perché gli scalatori devono passare giorni (o anche settimane a volte) per acclimatarsi, prima di tentare la scalata ad un’alta vetta.

I possibile rimedi

L’acetazolamide può aiutare alcune persone nel velocizzare il processo di acclimatamento e può trattare casi lievi di mal di montagna. Anche bere molta acqua aiuta nell’acclimatamento, per sostituire i fluidi persi attraverso la respirazione più pesante. È talvolta possibile controllare un lieve mal di montagna prendendo volontariamente dieci o dodici ampi e rapidi respiri ogni cinque minuti. Se ciò viene fatto ripetutamente, si può espellere troppa anidride carbonica (iperventilazione e conseguente alcolosi respiratoria) provocando un formicolio alle estremità del corpo. Altri trattamenti comprendono steroidi iniettabili per ridurre l’edema polmonare, bombole d’aria compressa per aumentare l’apporto di ossigeno e alleviare i sintomi, ma la misura ideale da intraprendere nei confronti di persone colpite dal mal di montagna è la discesa o il trasporto a valle.

L’unica vera cura

L’unica vera cura quindi, una volta che compaiono i sintomi, è quella di portare il malato ad altitudini più basse. Per casi seri di mal di montagna, può essere usata una sacca di Gamow per ridurre l’altitudine effettiva fino a 1500 metri in meno. Una sacca di Gamow è una sacca portatile in plastica, gonfiabile con una pompa.

Fonte Wikipedia

Mandi e Namaste

Sono friulano e mi sono sempre meravigliato della similitudine gergale che questi due popoli usano quando s’incontrano e si salutano lungo la strada: mandi e namastè, il primo in friulano e il secondo in nepalese.

La parola namasté  significa “mi inchino a te”, e deriva dal sanscrito: namas (inchinarsi, salutare con reverenza) e te (a te). A questa parola è però implicitamente associata una valenza spirituale. Essa può forse essere tradotta, in modo più completo, come saluto (mi inchino a) le qualità divine che sono in te. Unita al gesto di unire le mani e chinare il capo, potrebbe essere resa con: le qualità divine che sono in me si inchinano alle qualità divine che sono in te. il significato ultimo del saluto è quello di riconoscere la sacralità sia di chi porge il saluto che di chi lo riceve

La parola mandi è la formula di saluto in lingua friulana. È utilizzata come forma di benvenuto/bentrovato soprattutto come formula di commiato. Nel Friuli medioevale, però, si usavano altre formule come, ad esempio, nel 1400 circa: che Deu vi conservi in sanitat (che Dio vi conservi in salute) e la simile del 1429 Deu vi conservi san (Dio vi conservi sano). Il notaio friulano Antonio Belloni, nato a Udine verso il 1479, nelle sue lettere salutava con un stait san (rimanete sano).

Ecco quindi spiegato, anche se in maniera sommaria, come Mandi e Namastè sono in qualche maniera capaci di unirci in un ideale abbraccio tra popoli con culture molto diverse e lontane.